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strage via damelio c reutersdi Aaron Pettinari
Domani i giudici si ritirano in camera di consiglio

Mandanti esterni, la trattativa Stato-mafia, il punto di osservazione di via d'Amelio da castello Utveggio, le indagini, l'eventuale condanna o assoluzione di Scarantino. Sono questi alcuni dei “pomi della discordia” che dividono le posizioni della Procura di Caltanissetta, rappresentata in aula dal Procuratore Capo Amedeo Bertone, il procuratore aggiunto Gabriele Paci ed il sostituto Stefano Luciani e Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino. Il Borsellino quater, giunto al suo atto conclusivo (nella giornata di domani la Corte d'assise presieduta da Antonio Balsamo entrerà in camera di consiglio), ha visto oggi le parti affrontare le rispettive repliche e in aula ha avuto luogo un vero e proprio botta e risposta senza esclusione di colpi. Contrasti che avevano già preso forma durante le rispettive requisitorie ed arringhe nella ricostruzione dei fatti inerenti la strage di via d'Amelio.
“L'ufficio di Procura – ha dichiarato immediatamente Bertone - non esclude la percorribilità di altre strade che possono condurre ad ambienti esterni a Cosa nostra ma, tuttavia, tali piste vanno percorse senza cedere a semplici intuizioni o indicazioni generiche o pulsioni di vario genere, e devono essere sorrette da adeguati riscontri, altrimenti non sono proponibili per la definizione di una sentenza di condanna. In questo processo si è parlato di zoppìa del discorso del pm in relazione all’esame delle fonti di prova, di orticaria nei confronti dell’argomento trattativa e di pensiero malato del pubblico ministero, di amnesie per le vicende del castello Utveggio e in un’aula di giustizia si è parlato di ‘vergogna’ rivolgendosi al pm. Addirittura qualcuno ha detto che tutto questo suscita cattivi pensieri. Sono esternazioni che respingiamo al mittente. Tutto questo sembra davvero ingeneroso nei confronti di quest’ufficio che si è dato carico, senza fanfare, di rivedere tutto il materiale probatorio offerto dalle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina”. Bertone ha sottolineato che è stata avviata “una rigorosa attività investigativa, trattando anche aspetti che non si limitavano al solo accertamento della responsabilità degli imputati. Abbiamo trattato diffusamente parecchi temi – ha aggiunto – siamo passati attraverso un percorso pieno di insidie e riteniamo di averlo portato avanti con le richieste che alla fine abbiamo formulato”.
Il Procuratore capo è tornato sul tema della trattativa Stato-mafia ribadendo che “non abbiamo prova che all'esterno si fosse percepita una contrarietà del Borsellino a quella trattativa. Non abbiamo elementi di riscontro, a parte la problematicità della data di inizio della trattativa, anche per via del percorso 'particolare' di Ciancimino”. Non solo. Alla domanda su come fosse possibile che una parte dello Stato abbia saputo da Cosa nostra della delibera di uccidere Mannino ha risposto che “ugualmente lo Stato aveva notizie di attentati in preparazione contro Borsellino. E che quindi è evidente che lo Stato, tramite canali solidi, aveva notizie riguardanti attentati contro persone di istituzioni”.
A più riprese Bertone ha citato la memoria conclusiva che è stata depositata in questi giorni ed ha definito “normale” il fatto che a Vincenzo Agostino, padre del poliziotto ucciso nel 1989, sia stato mostrato un album fotografico con l'immagine di Vincenzo Scarantino. Tra i punti su cui si è voluto soffermare replicando all'avvocato Repici vi è anche la questione del castello Utveggio: “Il tema è stato trattato diffusamente a riguardo della possibile intercettazione abusiva e comunque delle indicazioni che la moglie di Borsellino aveva dato su esso. Era stato già sottolineato nella richiesta di misure cautelari. Poi ci sono le dichiarazioni di Canale che parla del tentativo del Capo della Polizia Parisi di mettersi a disposizione di Borsellino e di mettere altri vetri blindati perché da quella casa si vedeva il Monte Pellegrino. Questa indicazione che Borsellino ha riferito alla moglie potrebbe nascere come fonte proprio dalle stesse indicazioni di Parisi, che addirittura gli dice 'stai attento dovremmo mettergli i vetri blindati perché dal Monte Pellegrino ci può essere un punto di osservazione'”.

Nuove indagini sull'agenda rossa?
Nella sua ora di intervento il pm ha anche parlato dell'agenda rossa e del castello Utveggio. Secondo la Procura “ci sono buchi neri nei fatti legati alla strage di via D’Amelio, come la vicenda dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, le indicazioni fornite in aula dal colonnello Arcangioli e il contrasto con altre dichiarazioni pongono la necessità di riaffrontare questo tema. Ci sono le prospettive per una ulteriore attività che dovrà essere svolta e verificata”.
Per arrivare ad ulteriori verità il Procuratore si è anche augurato l'arrivo di nuove collaborazioni autorevoli da parte di personaggi importanti di Cosa nostra.
La Procura, che ha confermato la richiesta di condanna per calunnia anche nei confronti di Vincenzo Scarantino (oltre che per gli altri due falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci e per Salvo Madonia e Vittorio Tutino, che rispondono per strage), ha ribadito: “È stato detto che è un falso sostenere che Scarantino ha parlato solo quando è stato messo con le spalle al muro. Dopo l’ultima ritrattazione Scarantino ha impiegato sei mesi prima di parlare. Riteniamo che ci sia stato un pressing e un comportamento scorretto da parte di alcuni operatori di polizia, ma anche che ci sia stato un interesse di Candura e Scarantino a iniziare una collaborazione. Altra insinuazione gratuita è quella di avere lasciato pendente l’indagine sui poliziotti per il depistaggio e le pressioni a Scarantino, in modo da consentire loro di potere avvalersi della facoltà di non rispondere. Inutile ricordare che sono stati sentiti in aula dopo la chiusura dell’indagine. Pertanto non riteniamo sia una vergogna chiedere la condanna per calunnia di Scarantino, avvocato Repici. E sostenere in un’aula di giustizia che si sia trattato di una vergogna è un eccesso”.

Mandanti esterni che ci sono
Da parte sua Repici ha ribattuto alla tesi della Procura ribadendo la propria convinzione che “le prove fornite in questo dibattimento dimostrino che ci sia stato, nella strage di via D'Amelio, un intervento esterno a Cosa nostra e agli odierni imputati. Sono persone che devono essere individuate dalla Procura e portate a processo dalla Procura. Ancora però non è arrivato a dircelo un collaboratore di giustizia dagli apparati deviati dello Stato, che, come ci insegna la storia italiana, sono più pericolosi delle organizzazioni criminali. Semmai è poco ortodosso ipotizzare interventi di tipo fumettistico, di Paperinik, come si è fatto in un altro dibattimento. Una cosa la si può dire con certezza, oltre ogni ragionevole dubbio: che quella corresponsabilità esterna a cosa nostra c'è stata per la strage di via d'Amelio”. Tra i temi da approfondire Repici ha fornito alcuni esempi come l'operato del procuratore Tinebra nelle prime indagini, oppure proprio le azioni del tenente colonnello Arcangioli: “Noi abbiamo dimostrato con le immagini come è stata trafugata l'agenda rossa dalla borsa di Paolo Borsellino mentre ancora c'erano le fiamme in via d'Amelio. Un'operazione che non è stata fatta da Tutino o da Madonia Salvatore, ma da un appartenente alle istituzioni. Su questo non si possono avere dubbi. C'è stato un processo contro un soggetto che era stato individuato e sappiamo che tipo di sentenza c'è stata. Segnalo ancora al Procuratore Bertone che quell'imputato, Arcangioli, ha rinunciato alla prescrizione e quindi è a vostra disposizione”.
Poi Repici ha parlato della trattativa: “Non c'è dubbio che a un certo punto della sua storia Cosa nostra ha progettato dei delitti e non c'è dubbio che a un certo punto tra le vittime di uno dei delitti ci fu l'allora ministro Calogero Mannino. E' un fatto. Così come un fatto è che questo aspetto sia stato conosciuto fuori da Cosa nostra. E quando lui ha saputo di questo anziché rivolgersi a Falcone e Borsellino è andato dal generale Subranni, tramite il maresciallo Guazzelli, e da Contrada, funzionario del Sisde”.
In particolare il legale ha anche riportato le parole di Agnese Borsellino sul generale Subranni: “Nessuno può meterle in dubbio. A lei Paolo Borsellino che Subranni era punciuto. Non un colluso. Punciuto significa battezzato in Cosa nostra. E allora erano fuor d'opera le cose che ho detto a riguardo?”.
Proprio Agnese Borsellino aveva parlato del Castello Utveggio dicendo che suo marito diceva che bisognava chiudere le finestre perché c'era la possibilità di essere spiati da quel luogo. “Anche in questo caso mi auguro che non si voglia mettere in dubbio la veridicità delle parole della donna. E non si può attribuire anche ad esse un altro significato come l'interessamento del prefetto Parisi sulla sicurezza di Paolo Borsellino”.
E poi ancora: “Ogni contestazione, all’assunto dei pubblici ministeri, causava in loro la reazione dei cani di Pavlov perché tutto ciò che contrastava con il loro dire era qualcosa di falso, di dolosamente falso. In questo processo ho assistito persino alla richiesta, da parte della Procura, di una perizia sulla trascrizione di un’udienza perché era una trascrizione falsa di un’udienza fatta dal povero usuale trascrittore che aveva solo sentito ciò che aveva detto il pm”.
Quindi, nel suo intervento, Repici, che ha anche ricordato che nel giorno della sua arringa i pm erano assenti, ha analizzato l'operato dei poliziotti indagati per il depistaggio: “La Procura dice che i poliziotti sono stati scorretti, termine che vuol dire tutto e niente. Come dire che sono stati cattivelli. Il punto è un altro. Sono stati commessi reati o no? Analizzando la richiesta di archiviazione sul depistaggio prendo atto che per la Procura non ci sono estremi di reato. Ma voi una risposta dovete darla. Quella scorrettezza è in realtà un'illegalità ed è di una coerenza logica insuperabile”.
Repici ha anche ribattuto con forza alla vicenda dell'album fotografico mostrato ad Agostino il sette agosto del 1990: “Come si fa a dire che è normale che ci fosse la foto di Vincenzo Scarantino, che era al più un delinquente che con Cosa nostra non c'entrava niente salvo il suo rapporto con il cognato Profeta, della Guadagna? Per il delitto Agostino è indagato una delle parti civili di questo processo, Gaetano Scotto e lui con la Guadagna non c'entra niente. Nell'omicidio Agostino la Guadagna non c'entra niente”. Repici ha ribadito ancora una volta la rivelanza dei colloqui investigativi per indurre proprio Scarantino a collaborare con la giustizia: “Quelle indagini furono la caccia a Scarantino. Perché bisognava fondare tutto sul pentimento di Scarantino e non di Pietro Scotto o di chi altro? Perché? C'è una logica? La logica è una sola. Che Scarantino era il pupo che poteva essere portato in ogni dove. Non così si sarebbe potuto fare con soggetti diversi. Poi il dato eclatante è la modalità con cui sono stati fatti i colloqui. Perché è stato messo il rapinatore di Venezia con Scarantino e non Pietro Scotto? Perché è stato messo il confidente di Ricciardi con Candura e non con Pietro Scotto? Perché è stato messo Andriotta con Scarantino e non con Pietro Scotto?. Se nei verbali di Scarantino sono state dette falsità, e lo sono, quelle falsità sono state ricercate con un'attività spasmodica sin dal primo momento. Dal fermo di Candura. E prosegue incessantemente non solo fino alla collaborazione di Scarantino”. Ancora una volta il legale ha ricordato le dichiarazioni di Brusca e Spatuzza sulle violenze subite da Scarantino in carcere, ma anche le dichiarazioni della ex moglie del falso pentito, Rosaria Basile. Ed infine ha concluso: “Non è possibile dire che Scarantino ha ritrattato solo quando è stato messo spalle a muro. Ci ha provato più volte. Per questo non è possibile condannare Scarantino”. Domani la parola passerà ai giudici. 

Dossier Processo Borsellino quater