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depistaggio labirinto effIn aula le arringhe degli avvocati Di Gregorio e Scozzola
di Aaron Pettinari
“Per la strage di via d'Amelio siamo di fronte ad un depistaggio serio... Scarantino da solo non può aver inventato la strage. Stiamo parlando di un personaggio squallido ma che sicuramente non e' mafioso”. Ne è fermamente convinta l'avvocato Rosalba Di Gregorio avvocato di parte civile di Gaetano Murana al quarto processo sull'eccidio che il 19 luglio 1992 portò alla morte il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. Il legale, nel corso della sua arringa, ha passato in rassegna diversi punti critici di quelle dichiarazioni, poi rivelatesi false, di Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci, che poi portarono alle condanne definitivi ai processi uno e bis, per poi ricordare le parole dette da Lucia Borsellino ovvero che “se fosse provato qui un depistaggio mio padre sarebbe stato ammazzato due volte”.
Ed è proprio su questo aspetto che il legale insiste: “La Procura ha parlato di depistaggio a più voci. Ma sono soltanto le voci dei tre balordi? A mio avviso non si può ignorare un'eterodirezione, per essere 'riduttivi', di Scarantino e Candura... Ci sono problemi che qualcuno ha evidenziato... ma davvero dobbiamo credere che certi errori avvengono perché La Barbera ha voluto far carriera o perché l'opinione pubblica pressava?”.
Secondo l'avvocatessa palermitana vi sono state troppe anomalie nel corso delle indagini e, durante i processi, criticità “riconosciute anche nella sentenza del 'Borsellino ter' in cui vengono analizzati soltanto i verbali di interrogatorio... Si scrive addirittura che sorgeva il 'sospetto che allo Scarantino sia stato 'contestato', o in qualche modo fatto presente, il contenuto specifico di dichiarazioni di Andriotta”.
Così la Di Gregorio ha evidenziato anche l'assenza di “verbali di sopralluogo” o “l'autorizzazione di colloqui investigativi anomali”. “Ci sono interrogatori che si possono definire sospetti per le tempistiche che vi sono nel verbale, in altre non vi sono correzioni di cui, invece, dei testi hanno parlato. I pm Palma e Di Matteo ci hanno parlato di pause in cui Scarantino si fermava e loro permettevano di mangiare un panino ma senza uscire. Poi c'è la testimonianza del poliziotto Salvatore Coltraro, che abbiamo sentito sul periodo che Scarantino passò in Liguria, il quale ricorda che l'ex pentito usciva dalla stanza e faceva pause di oltre mezz'ora”.
Altre questioni evidenziate la gestione del picciotto della Guadagna da parte del Gruppo “Falcone e Borsellino”, la colluttazione avvenuta a San Bartolomeo a Mare con Mario Bo, e la mancata denucia di quei fatti.

La lettera della Bocassini
Altro dato che viene evidenziato è quello della lettera, rinvenuta a Palermo e non a Caltanissetta, inviata dai pm Bocassini e Sajeva in cui venivano messe nero su bianco una serie di perplessità proprio su Scaranitno , “in cui si dice che le dichiarazioni di Scarantino in cui chiama come presenti alla casa di Villa Calascibetta Cancemi, Di Matteo e La Barbera vengono ufficialmente assunte a verbale i primi giorni di settembre. Ciò significa che ufficiosamente era già noto prima?”.
La Di Gregorio ha anche parlato di “colloqui investigativi avvenuti contro legge” in carcere (risalenti al luglio '94) ricordando le parole del teste Guerrera che in aula aveva dichiarato che “quelli che voi chiamate colloqui investigativi per noi erano il biglietto di accesso al carcere per stare in compagnia dello Scarantino, in silenzio e a cui non dicevamo nulla”. “La dottoressa Bocassini – ha ricordato l'avvocatessa – non ha saputo rispondere sul perché lei avesse autorizzato questi dieci giorni di colloqui investigativi dopo lo svolgimento dei primi due interrogatori. Lei ha dichiarato che forse l'ha detto il Capo”.
Capo Procuratore di allora era Giovanni Tinebra, anch'egli ascoltato in dibattimento nonostante il grave stato di salute.
Il legale ha poi parlato della “ritrattazione televisiva” avvenuta con l'intervista a Mediaset, dell'anomalia delle agenzie con le smentite sulla volontà dello stesso a ritrattare ancor prima che la stessa intervista venisse trasmessa, la ritrattazione della ritrattazione di Como, le dichiarazioni dell'ex moglie di Scarantino, Rosaria Basile, la cui testimonianza è stata “sincera, non reticente, costante e precisa al punto da far impallidire i non ricordo istituzionali”.
Poi ancora le dichiarazioni di Gioacchino Genchi, che aveva ricordato di aver accompagnato il pm Petralia ad un interrogatorio a Mantova di Candura e che si scandalizzò nel trovare quest'ultimo in compagnia di Ricciardi ed Arnaldo La Barbera.

Accuse ai pm
Non è mancato l'atto di accusa contro i pm di allora i quali, a suo dire, avrebbero messo in atto un'azione “per depotenziare la difesa degli imputati accusati di strage nei processi uno e Bis”.
Si riprende, così, la vecchia polemica ai tempi del “Borsellino bis”, scaturita dalla richiesta effettuata dalla stessa Di Gregorio assieme ai colleghi Marasà e Scozzola di poter leggere i verbali del confronto svoltosi il 13 gennaio 1995 tra Vincenzo Scarantino e i collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi, Mario Santo Di Matteo e Gioacchino La Barbera. Come è noto il deposito posticipato di quegli atti al processo era costata una denuncia da parte dei tre legali nei confronti dei pm Annamaria Palma, Carmelo Petralia e Nino Di Matteo per “comportamento omissivo”. A loro volta i magistrati avevano denunciato per calunnia i tre avvocati. Il 25 febbraio 1998 il Gip di Catania aveva definitivamente archiviato l’inchiesta sui sostituti procuratori di Caltanissetta in quanto priva di alcun “comportamento omissivo”.

Dall'agenda rossa ai soggetti altri
“Noi non possiamo fare finta che in questa strage non ci sia stato niente - ha aggiunto sempre la Di Gregorio - Anche Spatuzza dice di aver visto un uomo non parte dell'associazione mafiosa nel garage e parla di presenze diverse anche per le stragi del 1993. Non possiamo far finta che ciò non esiste”.
Lo stesso ha parlato anche della sparizione dell'agenda rossa di Paolo Borsellino, “scomparsa e non per mano di mafia”. “Di questo - ha aggiunto - possiamo essere certi. Il 24 luglio del 92, l'ex capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, ha detto che l'agenda rossa si era sciolta a causa della combustione aggiungendo poi che si trattava di un'agenda telefonica che non conteneva nulla di importante. Ma lui cosa ne sapeva?”.
Altri aspetti inquietanti riguardano poi il colloquio registrato tra il pentito Mario Santo Di Matteo e la moglie Francesca Castellese in cui si parla di “infiltrati di polizia nella strage di via d'Amelio”, o anche il fatto raccontato dallo stesso Scarantino per cui uno sbirro di nome “Giampiero”, presentatosi come “l’ispettore Valenti”, sempre al fianco di La Barbera, gli rivelò in gran segreto la deflagrazione di una Fiat 126, “fatta saltare in aria dalla Polizia a Bellolampo”, poco prima della strage di via D’Amelio, per testare l’esplosivo.
L'avvocato ha chiuso il suo intervento chiedendo il risarcimento danni per Gaetano Murana, condannato ingiustamente all'ergastolo nel processo "Borsellino bis" sulla base delle dichiarazioni dei falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci, ora imputati per calunnia (di strage, per l'attentato del 19 luglio '92, rispondono invece Salvo Madonia e Vittorio Tutino).
Dopo Di Gregorio è toccato all'avvocato Giuseppe Scozzola, difensore di parte civile di Gaetano Scotto, un altro dei soggetti condannati ingiustamente nel "Borsellino bis" e per il quale è pendente il processo di revisione. Scozzola ha di fatto insistito sugli stessi temi affrontati precedentemente dal collega evidenziando gli errori compiuti da Scarantino durante i riconoscimenti dei pentiti che dichiarava presenti nella villa di Calascibetta, le incompletezze di verbali, le dichiarazioni del falso pentito Andriotta, definito come un Giuda che ha tradito più persone, ed anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia calabrese Antonino Lo Giudice. In particolare, poi, il legale, che non ha concluso la propria arringa, ha ripreso quanto già detto dai pm in requisitoria sul fatto che non vi fu alcuna intercettazione abusiva nell'abitazione della madre di Paolo Borsellino ribadendo l'impossibilità assoluta che il suo assistito possa aver avuto un qualche ruolo anche perché fuori Palermo in quei giorni. L'udienza è stata infine rinviata a domani quando sarà la volta dell'arringa di Fabio Repici, parte civile di Salvatore Borsellino.

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