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strage via damelio c reutersdi Aaron Pettinari
Secondo giorno di requisitoria al processo quater 

Il movente esterno legato alla trattativa Stato-mafia per l’omicidio Borsellino? Per i pm nisseni manca una prova fondamentale, ovvero “il fatto che Cosa nostra avesse appreso che Paolo Borsellino era un ostacolo alla trattativa stessa”. E’ così che il sostituto procuratore Stefano Luciani ha affrontato la questione al secondo giorno del processo dedicato alla requisitoria. Se non è un “dietrofront” rispetto a quanto detto in passato dalla Procura nissena poco ci manca. Basta andare a rileggere le dichiarazioni dell’ex procuratore capo Sergio Lari che, nel dicembre 2010, aveva dichiarato che “la trattativa è il movente di via D'Amelio”. “Le nostre indagini - aveva detto Lari - ci hanno consentito di accertare inconfutabilmente che Paolo Borsellino sapeva dell'esistenza di una trattativa tra Stato e mafia. Ne fu informato dalla dottoressa Ferraro il 28 giugno del '92. Da qui a dire che fu ucciso per questo non è scontato. O Borsellino fu ucciso perché si oppose alla trattativa o Totò Riina decise di accelerare una strage già decisa da tempo perché la trattativa languiva e non dava gli esiti sperati. Comunque la trattativa è il movente”. Anche l’ex procuratore aggiunto Nico Gozzo, intervistato da ANTIMAFIADuemila prima dell’inizio del quarto processo sulla strage, aveva parlato di una forte accelerazione della strage dovuto proprio a causa della trattativa (“Ci saranno state evidentemente anche altre motivazioni, ma secondo le nostre risultanze l’accelerazione nella strage è avvenuta anche per la trattativa. Questo dato è stato messo all’interno del procedimento proprio perché riteniamo che la trattativa sia intervenuta su una parte della deliberazione della strage, e cioè sulla tempistica”). Oggi però la Procura nissena da una parte ha ammesso l’esistenza di “importanti passi avanti”. Dall’altra ha sollevato una serie di punti che non permetterebbero di dipanare ogni “dubbio”.

Dati certi
Luciani, che ieri aveva spiegato alla Corte i motivi per cui non era possibile fare affidamento sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, ha evidenziato alcuni elementi che si sono cristallizzati nel corso di questi ultimi anni: “Nel corso del processo è emerso chiaramente che Paolo Borsellino aveva saputo dei contatti tra i carabinieri del Ros e Vito Ciancimino, come ci ha raccontato la dottoressa Liliana Ferraro. Inoltre sappiamo che Borsellino, nel periodo precedente al suo omicidio, era fortemente turbato per qualcosa, ma non sappiamo con precisione a cosa si riferisse. Di quest’ultimo aspetto parlano in particolare il dottore Russo e Camassa i quali raccolsero lo sfogo di Borsellino quando disse ’un amico mi ha tradito’ per poi scoppiare in un pianto”.

Tradimento
“Quello sfogo - ha continuato il pm nisseno - viene individuato in due momenti diversi in base a due ragionamenti logici. Russo lo colloca al 12 giugno 1992, ovvero in occasione dell’interrogatorio del dottor Signorino a Palermo, collegando anche lo sfogo ad un discorso su un pranzo ed una cena che Borsellino avrebbe fatto pochi giorni prima con alcuni carabinieri. La Camassa invece lo colloca la settimana tra il 22 ed il 29 giugno. Perché nel giorno di Signorino lei era molto tesa e ricorda che quell’incontro avvenne pochi giorni prima del 4 luglio, giorno della cerimonia di saluto di Borsellino a Marsala. Sposare una delle due tesi è complicato come complicato è collegare le persone da cui si sarebbe sentito tradito con il generale Subranni”.
Ad essere tranciante in questo senso, secondo il pm, sono le dichiarazioni di Agnese Borsellino. “La moglie del giudice ha spiegato che i rapporti tra suo marito e Subranni erano solo di natura istituzionale. Al di là di questo lei ha anche raccolto uno sfogo del marito in un periodo dove era particolarmente turbato. Il marito le disse di aver visto ‘la mafia in diretta’ e che ‘Subranni era punciuto’. L’aggancio è difficile da fare anche in questo senso”.

L’operato del Ros
Parlando delle testimonianze della Ferraro di Martelli e di Violante, sull’operato del Ros e gli incontri con Ciancimino padre, il pm ha messo in evidenza come vi siano due “dati certi”: “che i due ufficiali del Ros (Mori e De Donno, ndr) andavano cercando coperture politiche, e che di quella loro azione non fu informata l’autorità giudiziaria. Un fatto che stride con quanto riferito dai carabinieri che hanno sempre parlato del fine investigativo di quegli incontri. Sia che volessero iniziare l’indagine sugli appalti, sulla cattura dei latitanti o qualsiasi altra attività di natura giudiziaria, appare curioso che si cercano dei terminali politici differenti anziché, appunto, informare l’autorità giudiziaria competente”.
Luciani ha anche ricordato come non aiutino a fare chiarezza sulla natura dei contatti tra il Ros e Vito Ciancimino neanche le dichiarazioni di teste come Fernanda Contri, ex consigliere del Csm ed ex sottosegretario generale di Palazzo Chigi, o l’onorevole Folena, che il 22 luglio si incontrarono con il generale Mori. Anche recentemente, al processo trattativa Stato-mafia, la Contri, non è riuscita a chiarire le modalità di quell’incontro, in particolare se questo si svolse su sua iniziativa o su quella dell'allora colonnello. Chi avrebbe potuto colmare quei "vuoti" sulla ricostruzione sarebbe potuto essere Ciancimino jr. Secondo i pm, però, "essendosi sottratto al vaglio dibattimentale" non è utilizzabile.

Questione Mancino
Tra i temi affrontati durante la requisitoria vi è anche l’eventuale consapevolezza della trattativa da parte dell’ex ministro Nicola Mancino, tirato in ballo sia da Giovanni Brusca che Ciancimino jr. Secondo i pm nisseni “non vi sono riferimenti per sostenere che fosse al corrente della trattativa". Per arrivare a questa conclusione il pm ha ricordato le parole di Martelli, il quale disse di un Mancino che “cadeva dalle nuvole” quando gli parlò degli incontri tra il Ros e Vito Ciancimino. “Fa riflettere che Mancino neghi di aver mai saputo qualcosa sull’attività del Ros - ha aggiunto Luciani - ma se la sostituzione Scotti-Mancino è repentina ed anche Martelli dice che quando gli parla è palese che non fosse a conoscenza come si sposa la dichiarazione con i riferimenti di Brusca e Ciancimino?”.
Certo è che sul punto in questione è attualmente in corso il processo della Corte d’assise di Palermo (Mancino è imputato per “falsa testimonianza”) e che al Borsellino quater l’ex politico Dc si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Non solo. Anche di recente Martelli, sentito al processo trattativa Stato-mafia, ha raccontato dell’incontro avvenuto il 4 luglio con Mancino ma ha anche evidenziato un altro aspetto: “Ricordo che durante una deposizione di Mancino alla Commissione antimafia, parlando del suo insediamento, riferì dell’esistenza all’interno di Cosa nostra di due brutte correnti, una stragista di Riina e una più moderata di Provenzano. Disse: ‘appena arrivato al ministero mi resi conto’. Io non avevo notizie di questo. Io avevo dalle fonti ministeriali e giudiziarie che Provenzano era il vice di Riina e che i due erano intercambiabili tanto che alle riunioni andava uno o all'altro. Ma se questo delle due correnti è maturato è stato dopo la cattura di Riina, non prima. Ma che Mancino lo sapesse da luglio... fa riflettere…”. Magari certi spunti saranno evidenziati nella memoria analitica annunciata dai pm sia ieri che oggi, e che verrà depositata al termine della requisitoria.
Luciani ha ricordato anche l’episodio del primo luglio 1992, giorno in cui Paolo Borsellino incontrò il ministro Mancino a Roma: “È un dato di fatto che Borsellino, il 1° luglio '92, incontrò l'allora ministro dell'Interno Nicola Mancino. Fa riflettere che Mancino mostri di non ricordare quell’incontro con quello che all’epoca era il magistrato di punta della lotta alla criminalità organizzata si stampo mafioso, che prese voti pure per la Presidenza della Repubblica e che pubblicamente fu proposto come capo della Procura nazionale antimafia, ma l’incontro è certo, è nell’agenda grigia del giudice, e lo riferiscono anche i testi, Mutolo, Aliquò, ed altri. Proprio Aliquò è l'unico testimone oculare, il magistrato Vittorio Aliquò, ci ha parlato di un breve incontro in cui non si parlò della trattativa".
Di quell’incontro ha riferito anche il teste Gioacchino Natoli. “Mentre aspetta di essere ricevuto dal ministro appena eletto, Borsellino sta fumando nervosamente, allorché vede aprirsi la porta del salotto dove sarebbe stato ricevuto e gli appare Bruno Contrada, l’allora numero tre del Sisde. Questo fatto lo meravigliò non poco. Dietro Contrada c’era l’allora capo della Polizia Vincenzo Parisi - aveva detto proprio innanzi alla Corte presieduta da Antonio Balsamo - Borsellino e Contrada si scambiarono un veloce saluto e nell’allontanarsi Contrada gli disse ‘So che ha incontrato Mutolo. Si ricordi che in passato mi sono occupato di lui. Se ha bisogno, può rivolgersi a me’”. Della presenza di Contrada oggi non si è fatto alcun accenno durante la requisitoria ma il pm ha più volte spiegato che diversi aspetti saranno affrontati analiticamente con una memoria conclusiva. “A noi - ha detto Luciani - interessa colmare i punti che vanno dalla strage di Capaci fino al 19 luglio 1992”.

Foto © Reuters

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