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scarantino maschera effdi Miriam Cuccu e Francesca Mondin
Gli esami dei poliziotti di Imperia e Palermo: sovrapposizione di ruoli per gestire il falso pentito?

Vincenzo Scarantino, collaboratore poi smentito sulla strage di via d'Amelio, veniva fatto entrare e uscire dalla dagli interrogatori affinchè ripetesse più volte le stesse cose. A raccontarlo al processo Borsellino quater Salvatore Coltraro, dirigente della Squadra Mobile di Imperia dal '91 al '95, che riferisce di aver visto Scarantino fare avanti e indietro dalla stanza dell'interrogatorio nella questura di Genova (dove lo attendevano i magistrati di Palermo) almeno in una delle due occasioni in cui lo accompagnò: "Ricordo che lo interrogavano tre quarti d'ora, poi Scarantino usciva in corridoio per una ventina di minuti, stava con noi, poi lo richiamavano di nuovo. Ho desunto che gli facessero ripetere le cose tre o quattro volte prima di fare il verbale, per capire se diceva la verità o si contraddiceva". In quei casi, spiega, "usciva anche qualche funzionario, mentre i magistrati restavano dentro. Ma non li vidi mai parlare con Scarantino". Così il teste si spiega come mai, nel verbale d'interrogatorio del 27 luglio '95, è indicato come inizio le ore 20, mentre le autovetture che accompagnarono Scarantino da San Bartolomeo a Mare (località protetta nell'imperiese in cui il falso pentito risiedeva all'epoca) alla questura di Genova giunsero alcune ore prima. "Ritengo che probabilmente prima sia stato ascoltato più volte oralmente e solo dopo hanno verbalizzato. Questo avveniva anche in altre circostanze, ne sono sicuro, per evitare che entrasse in contraddizione o che si dimenticasse qualcosa… per vedere se ripeteva le stesse cose".
E' quando Scarantino, con la moglie e i figli, arriva nel piccolo centro a 10 chilometri da Imperia che la questura locale inizia ad interessarsi alla tutela del picciotto della Guadagna e del suo nucleo familiare. "Facevamo servizio di vigilanza ventiquattro ore su ventiquattro, si provvedeva ad accompagnarlo a Genova per gli interrogatori, rilevavamo i bisogni della famiglia come accompagnare la moglie di Scarantino a fare la spesa o portare e prendere i due figli da scuola". Chi se ne occupava? "Personale della questura di Imperia e alcune persone aggregate dal reparto della mobile di Genova". E il gruppo Falcone e Borsellino, che dagli albori della "collaborazione" seguiva Scarantino passo passo? "Telefonavano per dirci di portare il pentito a Genova. Interloquivo di più con il dottor Ricciardi. In due occasioni mi recai personalmente". Per il resto, nessuna traccia dei tre/quattro poliziotti che a turno facevano la spola da Palermo per "gestire" Scarantino: "Ritengo che non c'era altro personale" ha detto Coltraro, parlando dei dintorni del villino in cui alloggiava Scarantino. Secondo il teste svolgevano un'attività di "supervisione" in quanto "sapevano tutto quello che Scarantino aveva detto e fatto" effettuando una mirata attività di verifica della tutela del picciotto della Guadagna. Nei fatti, comunque, la polizia territoriale e quella palermitana non aveva alcun rapporto, né coordinamento in comune. "Quando arrivavano non ci avvisavano. Può darsi che saltuariamente personale del nucleo Falcone e Borsellino vi si recasse per parlare direttamente con lui, ma noi non venivamo informati".

La lite tra Bo e Scarantino
La polizia di Imperia non notò alcun movimento all'interno dell'abitazione. Tranne una volta: "Mi chiamò il dottor Vincenzo Ricciardi perchè dovevamo portare Scarantino a Genova - racconta il teste, parlando di quel 27 luglio '95, all'indomani della telefonata con cui Scarantino annuncia a Studio Aperto la sua ritrattazione - ricordo che entrando in casa vidi del personale che non conoscevo" e che si qualificano come appartenenti "alla questura di Palermo, del nucleo incaricato della gestione del pentito". "Poi - prosegue Coltraro - ci dividiamo e saliamo sulle macchine di scorta". Ma soltanto due delle tre macchine lasciano il villino, ed è Scarantino ad accorgersene: "Mi dice che è rimasto uno dei colleghi a casa sua con i poliziotti, e che se non tornavamo indietro avrebbe fatto scena muta". Giunti nuovamente davanti all'abitazione, "appena Scarantino entra si scaglia contro un funzionario di polizia, il quale ordina ai due poliziotti di ammanettarlo, mentre la moglie urlava e i bambini piangevano". Quel funzionario contro il quale il falso pentito si scagliò "per un eccesso di gelosia nei confronti della moglie" era il dottor Mario Bo (sentito alla scorsa udienza). "Lui - continua Coltraro, parlando di Bo - mi diceva che doveva parlare da solo con la moglie. Poi (una volta arrivati a Genova, ndr) riferii a Ricciardi, che si trovava lì, di non mandare più questo funzionario perchè si correvano dei rischi con Scarantino". La presenza di Ricciardi, la cui testimonianza ha lasciato più d'una perplessità quanto agli assetti del gruppo investigativo e alla gestione di Scarantino, è quantomeno contraddittoria, dato che la sua collaborazione con il pool Falcone e Borsellino è circoscritta al periodo giugno-settembre '94.
All'episodio della lite non seguì alcuna relazione o indagine. Ma, commenta Coltraro, "il fatto era di tale gravità che deduco lo abbiano riferito, non si poteva farne a meno". Giunti a Genova, ricorda ancora il teste, "vidi tre o quattro persone, di cui due erano il dottor Bo e un altro funzionario, parlare animatamente. Ritengo della ritrattazione, per averlo appreso dai giornali". L'ex dirigente della mobile, ad ogni modo, non ha mai avuto dubbi sull'affidabilità di Scarantino: "Se lui mi disse che si era inventato tutto sulla strage di via d'Amelio? Mai, e io lo ritenevo credibilissimo".

I colloqui nel carcere di Pianosa
Poco dopo l’inizio della sua “collaborazione", a luglio '94, Scarantino, fu portato al carcere di Pianosa. Ad accompagnare l'allora capo del gruppo investigativo Arnaldo La Barbera in questo spostamento c’era Giovanni Guerrera, l’ispettore capo di polizia che oggi a processo racconta di essere stato incaricato di rimanere a Pianosa “per fare la dama di compagnia” a Scarantino, il quale “era una persona che aveva bisogno di un contatto diretto con La Barbera o il gruppo Falcone e Borsellino, se avesse avuto esigenze particolari”. Dalle carte risulta che dal 4 al 12 luglio sono stati espletati una serie di colloqui investigativi con Scarantino a Pianosa, ma secondo quanto detto dal teste “quelli che lei chiama colloqui investigativi credo altro non erano che il titolo per poter effettuare questo tipo di compagnia a Scarantino ed entrare nel carcere". Nell’approfondire le attività che svolgevano a Pianosa, Guerrera aggiunge: “Io ogni mattina aspettavo che mi chiamassero, se era arrivata l’autorizzazione dal Ministero di Grazia e Giustizia per accedere al carcere, e poi stavo con Scarantino dalle 12 fino alle 21 in una sala colloqui”. Nel corso di questi incontri, prosegue, “ascoltavo le sue lamentele e gli sfoghi personali ma non avevo disposizioni su argomenti specifici, cercavamo solo di fargli sapere che il gruppo Falcone e Borsellino era lì… io non avevo ne competenze ne conoscenze per fare nessuna domanda specifica su fatti inerenti alla strage”. Dopo quattro giorni, racconta il teste, fu sostituito dal collega Giampiero Guttadauro. Degli incontri avuti con l’allora neo pentito, Guerrera però non avrebbe steso nessuna relazione di servizio. Un procedimento che, come evidenziato dal pm, dovrebbe essere la prassi di qualsiasi colloquio investigativo. “Non feci relazioni di servizio a Pianosa perché non ero in grado non avendo scrivania e macchina di scrivere, e non avevo motivo di prendere appunti - si giustifica il teste - Non ricordo poi se quando tornai per pura questione formale feci una relazione di servizio… ricordo che la sera, per disposizione, quando uscivo dal carcere chiamavo Arnaldo La Barbera per informarlo che Scarantino era stato tranquillo e non era andato fuori di testa”.
Il testimone dichiara inoltre, tra i molti non ricordo, di non sapere con certezza se quando gli fu dato il compito di restare a Pianosa “mi dissero che Scarantino già aveva reso dichiarazioni con autorità giudiziaria” e  tantomeno “il contenuto” di questi colloqui.
Una situazione nel complesso un po’ inusuale secondo la pubblica accusa, a partire dai colloqui investigativi in una struttura penitenziaria adibita a carcere duro, fino al compito di "dama di compagnia". “Non eravamo abituati a chiedere spiegazioni - ribatte il teste - si partiva dal presupposto che si agiva in buona fede”.

La gestione di Scarantino? Facevo fare i compiti al figlio
Confuse, poi, le testimonianze degli ispettori Maurizio Inzerilli e Salvatore Tedesco, che con Scarantino presero parte ai sopralluoghi effettuati a Palermo. "Ho ricordi molto vaghi", dichiara Inzerilli, componente del gruppo Falcone e Borsellino fino al settembre-ottobre '94, sulla logistica costruita attorno al falso pentito durante la sua permanenza a Palermo per effettuare i sopralluoghi, o su chi lo riportò indietro. "C'era il personale della mia squadra e Arnaldo la Barbera - dice, pur non riuscendo a fare altri nomi - non feci relazioni di servizio, quando c'era La Barbera (a capo del gruppo, ndr) non toccava a me ma al più alto in grado". Relazioni che, però, non sono mai state trovate. "Con Scarantino passai uno o due giorni a Boccadifalco - ricorda poi Nobile, allora agente del gruppo investigativo - poi ad Imperia. Facevamo un periodo di aggregazione dai 15 ai 20 giorni e si tornava in sede, eravamo io, il sotto ufficiale Valenti e una collega donna". Ma ad Imperia, "non c'era un ruolo vero e proprio, si stava lì, era una sorta di vigilanza. Io facevo fare i compiti al figlio, ma con Scarantino mai dialogato, non mi interessava". Niente da dichiarare, poi, sul servizio di accompagnamento dei due bambini a scuola, o della moglie a fare la spesa, come invece riferito da Bo davanti alla Corte. Così come su eventuali contatti con la polizia territoriale, che si trovava giorno e notte appena fuori dall'abitazione dalla quale gli agenti di Palermo entravano e uscivano: "Se i colleghi che vedevo fuori fossero di Imperia, di Roma o Sanremo non saprei" commenta Nobile.
Alla luce delle testimonianze discordanti di poliziotti e funzionari, che delineano un'inconsueta "sovrapposizione di ruoli" tra Palermo e Imperia, nella prossima udienza fissata per il 10 maggio verrà sentita la dottoressa Peppicelli per riferire su come fosse svolto il servizio di protezione dalla polizia territoriale. Per quella data sarà chiamato come teste anche il sovrintendente Francesco Milazzo, autore di una relazione di servizio risalente a due giorni prima della ritrattazione televisiva di Scarantino, in cui il falso pentito dichiarava di aver "preso la sua decisione", pregando di avvisare l'autorità giudiziaria. Una relazione alla quale, all'epoca, non era stato dato seguito.

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