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napolitano occhiali c ansaL'ex capo dello Stato, ancora una volta, non vuole testimoniare
di Francesca Mondin
L’ex presidente della Repubblica chiede di non testimoniare al quarto processo sulla strage di Via D’Amelio in corso davanti alla Corte d'Assise di Caltanissetta.
Come aveva fatto in occasione del processo trattativa Stato-mafia, l’ex Presidente ha inviato una lettera alla Corte d'assise. Allora aveva fatto sapere di non avere nulla da riferire sulla trattativa. Stavolta aggiunge: "La mia deposizione al processo Borsellino non sarebbe rilevante e sarebbe ripetitiva". L'audizione dell'ex presidente della Repubblica è fissata per il 14 dicembre a Palazzo Giustiniani, a Roma, sede dei presidenti della Repubblica emeriti. Secondo Napolitano sarebbe una dispersione di energie: “Auspico che la Corte condivida la convinzione maturata in una vita al servizio delle istituzioni e cioè che l'accertamento dei reati richieda la massima concentrazione delle energie processuali e non la loro dispersione".
Diversamente probabilmente la pensa l’avvocato Fabio Repici che ha chiamato il senatore a vita a testimoniare proprio in nome dell’accertamento della verità sulla strage che uccise il fratello del suo assistito Salvatore Borsellino, parte civile al processo. Domani le parti si pronunceranno riguardo i contenuti della lettera e il collegio deciderà il da farsi.

Non sarebbe la prima volta che Napolitano si troverebbe seduto sul banco dei testimoni. Unica differenza rispetto a quanto avvenuto al processo trattativa Stato-mafia è che questa volta, da senatore a vita, non potrebbe evocare i limiti di riservatezza dovuti alle prerogative del capo dello Stato.
Secondo quanto scritto nelle cinque pagine della lettera, il senatore ritiene che la sua eventuale deposizione coinciderebbe in larga scala con quella già rilasciata al processo trattativa. "Ho avuto modo di illustrare ampiamente i fatti politico-istituzionali di cui sono venuto a conoscenza come presidente della Camera nello stesso giro di anni e su accadimenti storici largamente coincidenti". Ma allo stesso tempo si dice sorpreso della "sconfinata comprensività e della assurda vaghezza" dell'articolato di prova formulato dalla parte civile.
Nello stringente capitolato di prova l’avvocato Repici chiede di ascoltare Napolitano in riferimento ai fatti accaduti quando era presidente della Camera dei Deputati tra il 1992 e il 1994.
Nello specifico "sulle ragioni della sostituzione dell’on. Vincenzo Scotti con l’on. Nicola Mancino nel ruolo di Ministro dell’Interno" avvenuto a giugno 1992 e se l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro ebbe un ruolo a riguardo.
Agli inizi del giugno '92 ci fu l'inserimento del regime di carcere duro per i detenuti mafiosi,
in riferimento a questo Napolitano sarebbe chiamato a riferire "sul contrasto che il decreto legge n. 306 dell’8 giugno 1992 incontrò per la sua conversione in legge".
Nella lettera il presidente emerito specifica di non sapere nulla in merito all'avvicendamento al Viminale tra Scotti e Mancino e nemmeno di quanto accaduto in parlamento sulla conversione del dl che introdusse il carcere duro per i mafiosi.
Nell’elenco dei motivi per cui la sua deposizione sarebbe inutile il senatore spiega anche di
non avere appreso nulla, negli anni delle stragi, su "comportamenti" dei carabinieri del Ros. Quindi non poterebbe offrire nessuna risposta agli interrogativi di Repici su "quanto da lui appreso in ordine alla trattativa intavolata nella primavera del 1992 dai vertici del R.o.s. con i vertici dell’organizzazione criminale Cosa Nostra per il tramite di Vito Ciancimino".
Non sapremmo mai invece se avrebbe potuto dare informazioni nuove sulle famose telefonate fra lui e Nicola Mancino riguardo le quali lo scorso anno al processo trattativa Stato-mafia ha più volte evocato i limiti di riservatezza, perché non sono state avvallate dalla Corte le domande a riguardo.

Foto © Ansa

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