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via-damelio-web1di Miriam Cuccu - 5 giugno 2015
Al Borsellino bis l’imputato Calogero Pulci, dichiarò il falso sulla strage
Al processo d’appello “Borsellino bis” incolpò Gaetano Murana (condannato all’ergastolo per le dichiarazioni sue e dell’altro falso pentito, Vincenzo Scarantino) di aver preso parte alla strage di via D’Amelio. Poi, però, le sue parole sono state ritenute non veritiere, clamorosamente decadute a seguito della collaborazione di Gaspare Spatuzza, tra i veri responsabili della strage in cui morirono il giudice Borsellino e gli agenti della scorta. Così Calogero Pulci, prima medio imprenditore, poi “l’alter ego” di Giuseppe “Piddu” Madonia, boss di Vallelunga Pratameno di cui curava la latitanza, nel marzo 2012 si è ritrovato tra le mani una denuncia per calunnia aggravata in quanto per gli inquirenti non disse la verità coscientemente per depistare le indagini sull’omicidio del giudice. Nonostante ciò continua a proclamare la sua innocenza: “Altrimenti mi facevo il rito abbreviato, patteggiavo due anni e chiudevo la partita” commenta al processo Borsellino quater davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta.
Pulci, racconta, conobbe Murana “nel periodo in cui frequentavo Bagheria, verso la fine degli anni ’80 ma dopo il fallito attentato all’Addaura. Murana era uno dei tanti che accompagnava Pietro Aglieri”. Il rapporto con Murana, ha specificato Pulci, si limitava però al saluto: “Non è che tra di noi… uno era prudente anche se era in quell’ambiente… l’avrò incontrato tre o quattro volte…”. Madonia, spiega il falso pentito, “mi diceva che lui era ospite della famiglia di Bagheria”.

Pulci e Murana si rivedono poi nel carcere di Caltanissetta “credo nel ‘98”. In quel periodo, ricorda Pulci, “ero una specie di sindacalista, qualcuno doveva mediare, siccome Madonia voleva controllare gli uomini suoi nel carcere ci mise uno di sua fiducia, in quel caso ero io. Non avevo una bella fama, se decidevo che alle 12 nessuno doveva ritirare il pranzo nessuno lo faceva, diciamo che ero il capobranco…”. Pulci incontra Murana “nel cortile del passeggio ma faccio finta di non conoscerlo, era una mia tattica per vedere la reazione degli altri”. Poi però, in un secondo momento, “mi racconta che era sceso (a Caltanissetta, ndr) poiché c’era in corso il processo di primo grado del Borsellino bis (nel quale Murana era imputato, ndr) e lui andava alle udienze”. Pulci ricorda che in un’occasione, dopo aver sentito parlare Scarantino in tv, aggredisce Murana in cortile sbraitando “Ma che razza di gente siete che pigliate uno come Scarantino e lo usate per rubare la macchina?’. Mica sapevo – spiega l’ex mafioso originario di Sommatino – se Scarantino diceva la verità o il falso, potevo immaginare che La Barbera l’avesse usato per fare un depistaggio clamoroso? Murana si è spaventato, ha cercato di difendersi, mi ha detto che lui (Scarantino, ndr) non c’entrava niente, che era l’ultimo del quartiere infatti… avevano da fare con il cognato (Profeta, ndr) diceva che lui ‘era uno dei nostri’… diceva pure che lo accusava ingiustamente” specificando che il ruolo di Scarantino si era limitato al recupero, su ordine del cognato, della macchina poi utilizzata per la strage di via D’Amelio. Murana, escluso il ruolo del picciotto della Guadagna per la 126, “diceva che (Scarantino, ndr) stava raccontando cose non vere, possibilmente suggerite dalla polizia o dalla procura”.
Ma l’ex uomo di fiducia di Madonia, al processo Borsellino bis, si era spinto oltre parlando di ciò che aveva sentito da Murana, rispondendo alla domanda dell’allora procuratore generale Favi: “Murana mi disse che il lavoro l’avevamo fatto noi della Guadagna, lui è della Guadagna pure, non l’avevano fatto loro ma noi e Scarantino” mentre, secondo le dichiarazioni iniziali, Profeta si era sì incaricato della macchina, ma tutte le altre dichiarazioni di Scarantino sarebbero state pura fantasia. “Io lo ritenevo veritiero in quanto precedentemente all’attentato incontravo Madonia a Bagheria e c’era Pietro Aglieri, e mi spiegava Madonia che non era uno di seconda mano”. “Ma questa è una deduzione” replica il pm. “Questo mi hanno detto e io l’ho ritenuto credibile – ribatte Pulci – ero sicuro che fosse stata Cosa nostra e i palermitani, non sapevo quale famiglia”. Il falso collaboratore ne è certo perché “avevo accompagnato Madonia in due riunioni preliminari alle stragi, ma non sapevo quale mandamento palermitano avesse eseguito la strage, non potevo saperlo. Un giorno mi disse ‘non venire sti giorni a Palermo che siccome deve succedere il fatto se ti fermano…’”. “Il fatto”, specifica Pulci, era “l’attentato in preparazione per Falcone e successivamente quello per Borsellino”.
“Quando Murana nel difendersi mi dice questo – precisa Pulci, spiegando perché si troncarono i rapporti – lo trovo credibile, ma quando si allarga a dire che Scarantino opera su suggerimento delle forze dell’ordine me ne sono andato per non fare una lite” perché Scarantino “all’inizio faceva i sopralluoghi, io seguivo la cronaca, dicevo ma questo mica si può inventare tutto, c’erano circostanze riscontrabili dagli inquirenti, allora chiudiamo la partita, non è credibile che si sia inventato tutto anche perché non aveva la struttura intellettiva”. Pulci, ad ogni modo, continua a confermare di aver sentito da Murana quanto aveva a suo tempo aggiunto al Borsellino bis: “E’ stata solo una sfuriata che io ho sbagliato pure a fare, e se non l’avessi fatta oggi non mi troverei qua”.

In foto: la strage di Via d'Amelio

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