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spatuzza-green-effdi Miriam Cuccu - 26 marzo 2015
I pentiti Raimo e Marino al processo: "Sapevamo che stava collaborando un pezzo da novanta"
Quando nel 2008 Gaspare Spatuzza decise di pentirsi, raccontando ciò che realmente successe nei giorni immediatamente precedenti alla strage di via D'Amelio, compreso il furto delle 126 poi imbottita di tritolo del quale si è accusato, tutto un mondo tremò, dentro e fuori le carceri. Le dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino avevano già mandato in cella alcuni personaggi in realtà innocenti, quelle di Spatuzza ne stava tirando in ballo altri. "Vuoi vedere che questo mo' mi mette in mezzo per il fatto della 126 in via D'Amelio?". A inveire contro il superpentito di Brancaccio è Vittorio Tutino, che Spatuzza accusa per aver rubato insieme a lui l'autobomba. A raccontarlo al quarto processo per la morte di Borsellino e degli agenti di scorta (in cui Tutino è imputato, ndr) il collaboratore Francesco Raimo, suo compagno di passeggiate e partite a carte nel carcere di Novara, durante la socialità prevista dal 41bis: "A Tutino arriva un avviso di garanzia dalla Procura di Caltanissetta - racconta l'ex esponente del clan Iacomino-Birra di Ercolano - sento Pietro Rampulla che gli spiega che si tratta di reati di strage. La sua cella era quasi di fronte alla mia, io ero alla 14, lui alla 4. Quando poi scendemmo a passeggio lo vedo un po' infuriato. 'Vitto', ma che c'hai, non te preoccupa', gli dico, lui invece in uno scatto d'ira sbotta: 'vuoi vedere che mo' mi fa arrivare anche il fatto della 126 di via D'Amelio?' Tutino era preoccupato per il 41bis, diceva 'mo' che me lo stanno per togliere questo fatto me lo blocca…'". Con Tutino, prosegue Raimo, "avevamo una bella amicizia, siamo stati nella stessa sezione da ottobre 2008 a maggio 2009. Cucinava per me, faceva la spesa per tutto il gruppo, giocavamo a carte. Un giorno non lo sentii mai, e il giorno dopo gli chiesi se non si fosse sentito bene. Mi disse che era andato a Roma e che poi mi avrebbe spiegato. Ma a maggio sono stato trasferito al primo piano e non abbiamo più avuto modo di parlare". Nel mondo carcerario però, precisa Raimo, già si sapeva della collaborazione di Spatuzza: "Gaetano Scotto (precedentemente accusato da Scarantino, ndr) riferì che il suo avvocato stava facendo le carte per la revisione del processo perché aveva iniziato a collaborare un pezzo da novanta del quartiere di Brancaccio che sapeva la verità sulla strage di via D'Amelio. Non fece il nome di Spatuzza, ma quando ne parlò Tutino collegai le due cose".

Anche Marco Marino, pentito calabrese ed ex affiliato alla famiglia Serraino, racconta di aver sentito parlare di Spatuzza in carcere: "Ero al Pagliarelli di Palermo nella stessa sezione di Salvatore Vitale (oggi deceduto, accusato da Spatuzza di aver messo a disposizione un appartamento in via D'Amelio, ndr). La sua preoccupazione, aveva detto, era che rendessero il collaboratore attendibile e che potesse tirare in ballo la sua persona per questa situazione. Dal secondo o terzo colloquio mi fece il nome di Spatuzza, Vitale aveva un appartamento nella zona in cui ci fu la strage. Non parlavamo esplicitamente perché aveva l'ossessione delle microspie, diceva che il Pagliarelli ne era pieno. Parlavamo in una saletta che non aveva neanche le prese, mi raccontava che l'appartamento era usato per appostamenti dagli organizzatori dell'attentato". Poi via D'Amelio esplose, "l'appartamento - racconta Marino - subì dei danni che Vitale non aveva nemmeno immaginato".

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