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ciancimino-proc-110214di Aaron Pettinari - 11 febbraio 2014
Ascoltato anche Lo Forte: “Paolo indagava su Capaci”

E' finita soltanto nel tardo pomeriggio l'udienza odierna del processo “Borsellino quater” che vede imputati, davanti alla corte d'assise di Caltanissetta, i boss Vittorio Tutino e Salvo Madonia e i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Calogero Pulci e Francesco Andriotta. La giornata di oggi era particolarmente attesa in quanto ad essere ascoltato innanzi alla Corte di Assise di Caltanissetta vi era Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, che però ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere praticamente a tutte le domande poste dai pm Nico Gozzo, Stefano Luciani e Gabriele Paci. Ciò è stato possibile, nonostante sia stato ascoltato come testimone assistito, dopo una lunga discussione tra la Procura, che ha inquadrato il Ciancimino come imputato di procedimento connesso, e il legale di parte civile di Salvatore Borsellino, Fabio Repici, che ad inizio udienza ha sviluppato una memoria.

Con quel documento l'avvocato ha richiesto la revoca dell'ordinanza con la quale, alla precedente udienza, erano stati qualificati come imputati di reati connessi e collegati i due ufficiali dell'arma Mario Mori e Giuseppe De Donno, entrambi come il Ciancimino imputati nell'ambito del processo trattativa Stato-mafia che si celebra a Palermo. Alla fine la Corte ha deciso di ascoltare Ciancimino come testimone assistito riconoscendogli però la facoltà di non rispondere qualora ritenesse che la risposta alla domanda potesse ricondurre potenzialmente ad una sua responsabilità rispetto ai capi di imputazione a lui contestati in altro procedimento. E su questa facoltà si è aggrappato su molte domande, salvo alcune poste dallo stesso Repici e riferite ai suoi rapporti con il padre ed eventuali elementi appresi direttamente tra la fine degli anni ottanta ed il 1992. Ciancimino che prima di oggi si era avvalso della facoltà di non rispondere solo in occasione di un interrogatorio di fronte alla stessa procura di Caltanissetta e che presto dovrà essere ascoltato come teste al processo trattativa Stato-mafia.

Le dichiarazioni spontanee di Scarantino
Al processo è anche intervenuto rilasciando dichiarazioni spontanee il falso pentito Vincenzo Scarantino, imputato del “Borsellino quater” per calunnia aggravata, arrestato due settimane fa su ordine del gip di Torino per violenza sessuale su una disabile. “Ventidue anni fa hanno creato il mostro per la strage di via d'Amelio - ha detto - oggi stanno creando il mostro della violenza sessuale. Che dio mi accechi se io ho fatto queste schifezze. Non mi sono mai permesso, voglio fare presente ai parenti delle vittime e alla corte che non ho mai commesso violenza sessuale”.

Lo Forte e gli ultimi giorni con Paolo Borsellino
Prima di Ciancimino, è stato sentito il procuratore di Messina Guido Lo Forte, che all'epoca dell'uccisione del giudice Paolo Borsellino era sostituto procuratore a Palermo. Questi ha raccontato in merito alla gestione della collaborazione col pentito Gaspare Mutolo in particolare riferendosi ai due interrogatori avvenuti nei giorni immediatamente precedenti all'attentato a cui partecipò lo stesso Borsellino.
“La notizia secondo la quale Mutolo aveva manifestato la volontà di collaborare con la giustizia credo che trapelò dalla Procura di Firenze o se arrivò dallo stesso Falcone – ha ricordato - Mutolo aveva considerato come suo primo interlocutore virtuale Giovanni Falcone poi Mutolo nel prospettare la sua intenzione di collaborare con la giustizia fece sapere di voler parlare con Borsellino, cosa che spinse Giammanco a disporre, nella delega ad Aliquò, una clausola che prevedeva una sorta di coordinamento con Paolo Borsellino. Formalmente la collaborazione del pentito cominciò l'uno luglio del 1992. Paolo mostrò un certo disappunto per non essere stato investito formalmente delle indagini relative a Mutolo, tanto che con una battuta ci disse che era inutile che lui partecipasse agli interrogatori. Io e Natoli gli chiedemmo di restare e la cosa si superò, tanto che negli interrogatori successivi del 16 e del 17 luglio”. Proprio in riferimento a quest'ultimi il procuratore di Messina ha ricordato che Borsellino si allontanò dal luogo in cui avvenivano i colloqui con Mutolo per alcune ore. Nel corso di una delle pause il magistrato disse ai colleghi che sarebbe andato al ministero dell'Interno.
Tuttavia Lo Forte ha detto di non ricordare se durante questa assenza Borsellino abbia incontrato l'ex dirigente del Sisde Bruno Contrada e il capo della polizia Vincenzo Parisi.
Tuttavia “dopo la strage seppi che si era diffusa la voce secondo la quale Mutolo aveva anticipato a Borsellino di avere cose da dire su Contrada (poi condannato per mafia ndr) e sul pm Domenico Signorino (accusato di collusioni mafiose e morto suicida ndr). Dichiarazioni che raccogliemmo poi in un secondo momento in ottobre, ma Mutolo disse da subito che si riservava di fare certe dichiarazioni in un secondo momento.

Borsellino e le indagini su Capaci
“Borsellino – prosegue Lo Forte rispondendo alle domande dei pm - era concentrato su Capaci, indagava ed aveva ripetuti contatti con la Procura di Caltanissetta perché voleva dare il proprio contributo per accertare la verità su quanto accaduto a Giovanni. Voleva persino essere applicato a Caltanissetta ma il Csm non accettò. Nei discorsi che facevamo Borsellino considerava anche il contesto in cui si verificò la strage di Capaci, ovvero mentre l'Italia si accingeva ad eleggere il presidente della Repubblica. Borsellino non escludeva che dietro la strage di Capaci ci fosse un piano di destabilizzazione, anzi, come dicevamo noi di stabilizzazione. Lui pensava a tante cose, non ad una sola. La sua opinione era che l'omicidio di Falcone, fatto in quel modo, doveva avere un significato che andava al di là degli interessi di Cosa Nostra circoscritti in un perimetro criminale Dopo la strage di Capaci manifestò la sua delusione per la mancata nomina di Falcone a procuratore nazionale antimafia ma non mi parlò mai di essersi sentito tradito da qualche suo collega”.
Il magistrato ha anche spiegato di aver sentito parlare delle intercettazioni di via Ughetti a Palermo in cui si parlava di un “attentatuni”. Tuttavia, ha sottolineato: "Escludo che di questo se ne parlò nel giugno 92”. Lo Forte, pur non ricordandone il colore, ha poi confermato che “Borsellino sicuramente aveva un'agenda, non ricordo il colore, dove spesso, nel corso della giornata, annotava degli appunti”.

La cena
“Il 16 luglio, tre giorni prima della strage di via d'Amelio eravamo a Roma per gli interrogatori a Mutolo – ha proseguito - La sera andammo a cena. Oltre a me, c'erano Borsellino, Natoli e l'onorevole Vizzini. Durante la cena, Vizzini parlò di Angelo Siino sostenendo che a suo modo di vedere, Siino era stato effettivamente un protagonista della manipolazione degli appalti. Ma non fummo noi ad entrare nel discorso”.

L'attentato del 19 luglio
Infine la memoria di Lo Forte si sposta su quanto avvenuto in quella domenica di luglio in via d'Amelio. “Dopo la notizia dell'attentato a Paolo Borsellino, andai immediatamente in via D'Amelio. Non attesi neanche il servizio scorta, mi precipitai li con la mia auto. Ero sconvolto. Era una tragica, e mai vista, scena di guerra. Mi misi a piangere quando vidi delle membra sparse che circondavano il luogo in cui era esplosa l'autobomba. Mi dissero che erano parti del corpo della giovane Emanuela Loi”.
Il processo è stato così rinviato per il prossimo 25 febbraio quando dovrebbero essere sentiti il prefetto De Gennaro, Gratteri, Di Petrillo ed il prefetto Rossi.

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