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di Michele Riccio

Proseguiamo, dai numeri precedenti, nella ricostruzione della vicenda di Luigi Ilardo, confidente del ROS, che, con il suo contributo, ha reso possibile la cattura di numerosi latitanti di grosso calibro facenti parte di Cosa Nostra. Sarà il colonnello dei carabinieri Michele Riccio stesso, che ha raccolto in prima persona le dichiarazioni di Ilardo, a condurci nello studio del caso, che cela, a nostro avviso, importantissime informazioni, non solo sulla vita occulta dell’organizzazione e del suo capo indiscusso, Bernardo Provenzano, ma anche sugli intrecci esterni che coprono da sempre Cosa Nostra.

Parlare di Servizi segreti, di Massoneria per Ilardo fu un fatto naturale, oserei dire scontato, per un uomo nato all’interno di Cosa nostra e che aveva poi vissuto alcuni momenti tra i più importanti della storia dell’organizzazione.
Questi furono un tema ricorrente. Spesso avvertimmo il lambire di quell’ombra con tutto il suo carico d’ambiguità e d’apparente mistero all’italiana.
Non si parlò di un accordo tra mafia, massoneria ed ambienti della destra eversiva per dare vita ad un progetto golpista, che negli anni 1991 – ’93 avrebbe diviso l’Italia in tre parti e condotto la Sicilia sotto il controllo di Cosa nostra.
Per quanto intesi Cosa nostra non intendeva “farsi Stato”, prese sì in considerazione l’idea di promuovere un autonomo progetto politico, si parlò di Leghe meridionali, ma intuii che fu solo uno dei tanti progetti esaminati in quei primi anni ’90 che i vertici dell’organizzazione fecero ventilare strumentalmente all’orecchio di una certa politica.
Era già in corso una nuova stagione della strategia della tensione, che transitò per le stragi di Capaci, di via D’Amelio e gli attentati di Roma, Firenze e Milano, ispirata da una lobby composta da alcuni personaggi appartenenti alle Istituzioni ed al più alto livello imprenditoriale ed al cui servizio operavano settori deviati dei Servizi segreti e della Massoneria, che svolgevano anche compito di collante con la criminalità organizzata.
Lobby, che stava già lavorando ad un nuovo soggetto politico ed era in continuità politico – imprenditoriale con quegli ambienti, che già negli anni settanta avevano dato vita ad una analoga strategia della tensione, operando con gli stessi settori deviati Istituzionali e massoni.
Propagandando visioni risorgimentali ed interessi atlantici contro la paura di una sinistra che ogni giorno era sempre più dilagante,  si riunivano segretamente come cospiratori per sovvertire lo Stato e non esitavano a ricorrere anche alla destra extraparlamentare eversiva.
Erano invece signori dell’affare, abili nel trasformare l’interesse collettivo in interesse personale, destabilizzare per stabilizzare ed ogni mezzo violento e mistificatore della verità era lecito, come il ricorrere alla Mafia.
Ilardo era certo che Pietro Rampulla, uomo d’onore e suo vecchio amico sin dai tempi dell’università di Messina saltuariamente e per poco frequentata, con trascorsi nella destra extraparlamentare, per le sue capacità di esperto in congegni esplosivi con attivazione a distanza fosse uno degli artificieri che Cosa nostra aveva impiegato in una di quelle stragi. Non sbagliava come poi si evidenzierà.
Cosa nostra perseguì quella strategia stragista, ma questa volta tenne ben presenti le ragioni che l’avevano condotta all’omicidio di Salvo Lima in quel 12 marzo 1992 in Palermo e che segnò una modifica importante nei rapporti di Cosa nostra con le Istituzioni.
Da allora la Mafia ha preferito infiltrarsi negli ambienti politico – istituzionali piuttosto che dialogare da posizioni contrapposte.
Tenendo conto di questi diversi parametri Cosa nostra trattò con settori dello Stato con i quali non aveva mai smesso di dialogare, accreditò furbescamente l’esistenza di una fazione più buona, non incline alla politica delle stragi.
In un clima di apparente stato di debolezza e di revisione interna, ma protesa invece a riorganizzarsi ed inabissarsi pur di allentare la pressione del contrasto giudiziario e di polizia Cosa nostra fece uscire dalle carceri tramite i vari cappellani la voce che molti mafiosi stessero prendendo in considerazione la possibilità di dissociarsi.
Bernardo Provenzano in continuità politica con quel Gaetano Badalamenti, che con Riina aveva destituito, fu uno di questi abili architetti impegnandosi da un lato ad alimentare e sostenere il nuovo soggetto politico che stava nascendo e dall’altro a profondere ogni energia per ricompattare l’organizzazione sotto il suo comando, riprendendo il controllo del territorio e proponendo un ritorno all’antico di Cosa nostra, meno sanguinaria e più dialogante con lo Stato.
Per meglio farmi comprendere le insidie e le alchimie degli ambienti dei quali ci stavamo interessando Ilardo mi confidò d’incontri, segreti anche ai più dell’organizzazione, che Riina aveva avuto con appartenenti a settori delle  Istituzioni avviando una “trattativa” e mi parlò delle ombre, che aleggiavano intorno alla vicenda dell’arresto sempre di Totò Riina.
Provenzano si era dimostrato più abile di Riina, perché aveva saputo scegliere meglio i suoi interlocutori politico – istituzionali ed imprenditoriali non seguendo le scelte azzardate del compagno, preferendo attendere, come i suoi referenti, tempi migliori e considerare favorevolmente le intese con ambienti politici storicamente avversi, se utili a Cosa nostra.
Tutto aveva origine dal passato, di cui il presente non era altro che speculare continuità. Allora mi disse che dopo i primi e casuali contatti con alcuni esponenti della destra extra - parlamentare romana, occorsi ai tempi della sua giovinezza criminale quando partecipò alle squadre specializzate nell’uso della lancia termica per svaligiare i caveau delle banche, chi lo introdusse per primo nel mondo dei Servizi segreti e della Massoneria fu tale Gianni Chisena, un pugliese con trascorsi nel contrabbando di sigarette. Questi, per come Ilardo ebbe modo di accertare, era un agente esterno dei Servizi segreti, che fino a quando fu utile a quegli ambienti godette di vantaggi personali ed ampie coperture anche in latitanza, per poi essere abbandonato ed ucciso per  eliminare un potenziale pericoloso testimone.
Quanto fosse stato importante per i Servizi segreti avvalersi del Chisena per realizzare i loro oscuri disegni è dato dall’elevato livello del suo inserimento nella Mafia e dai delicati ed importanti compiti che in seguito assolse.
Fu Luciano Leggio a presentarlo alla sua famiglia alla quale si legò così tanto da essere considerato uno di loro negli anni ‘73 – ’74. Chisena aveva frequentato l’allora capo di Cosa nostra prima a Torino e poi a Milano dove si trovava in entrambe le occasioni con Domenico Tripodo, boss dell’Ndrangheta del quale era il “consiglieri”.
Nel capoluogo milanese alla presenza di altri esponenti di livello della Mafia furono concordate alleanze e ripartizioni degli affari per un quieto e prospero convivere. Non mancò l’opportunità di promuovere comuni progetti criminali.
Per Ilardo, che seguì il Chisena nel suo lavoro, si aprì la stagione del grande contrabbando dei tabacchi e quella dei sequestri di persona. Furono presi contatti con operatori finanziari per interessare il sistema bancario, con le grandi multinazionali del tabacco, con Malta e poi con le giuste coperture lungo i litorali calabresi e siciliani. Furono pianificati sbarchi di sigarette, alle quali sovente si aggiunsero anche le armi.
I sequestri di persona furono commessi a Milano e in Lombardia  e gli ostaggi trasportati e nascosti in Calabria.
Reati che più di una volta in quei tempi per le modalità di realizzazione, di gestione, di pagamento del riscatto e l’esito dello stesso, destarono sospetto e perplessità, lasciando intravedere più realtà. Tanto è stato detto, ma molto di più non è stato ancora raccontato.
In quei tempi Ilardo fu inviato presso l’Ndrangheta quale rappresentante e garante di Cosa nostra e grazie alle relazioni del Chisena fu ospite della famiglia di Iamonte Natale, boss della ‘Ndrangheta, prima alleato del Domenico Tripodo e poi suo avversario insieme al clan dei De Stefano.
Ilardo per giustificare la sua presenza in Calabria ad un eventuale controllo delle forze dell’ordine grazie sempre alle entrature del Chisena trovò un lavoro, solo formalmente, come impiegato presso l’azienda Liquilchimica di Saline Ionica (RC).
Una prima conferma che il Chisena fosse legato ai Servizi segreti Ilardo l’ebbe una mattina del mese di agosto 1975 in località agro di Lazzaro (RC) quando incapparono in un posto di blocco della Polizia Stradale.
In prossimità del dispositivo di controllo il Chisena, che era latitante, nel fermare l’auto per dargli modo di fuggire gli affidò i suoi documenti d’identità di copertura pregandolo di distruggerli. In una campagna vicina dove si nascose Ilardo ebbe non solo la possibilità di vedere il fermo dell’amico, ma di rendersi conto, prima di dare fuoco ai documenti, che si trattavano di alcune tessere plastificate dai bordi di colore azzurro con le generalità di copertura e le foto del Chisena predisposte dai Servizi segreti.
Il Chisena ritornò presto in libertà nei primi giorni del 1976 grazie all’aiuto dei Servizi segreti; come gli confidò anche all’interno del carcere gli era stata garantita massima tutela e la più ampia libertà d’azione. Nei tempi a seguire ebbe anche modo di assistere ad incontri del Chisena con i suoi referenti, alcuni avvennero sui traghetti che collegavano Villa san Giovanni (RC) con Messina. L’amico attendeva che la nave giungesse nel centro del canale per avvicinare il suo contatto e tutto avveniva sotto l’attenta sorveglianza a bordo del traghetto da un lato da parte di Ilardo e dall’altro degli altri agenti che avevano accompagnato il collega.
Ilardo presto scoprì che il Chisena vantava un’altra “qualifica” che lo rendeva ulteriormente prezioso ai Servizi: era un massone di livello. Sotto quella veste assolse un incarico importante: determinò l’ingresso ufficiale di Cosa nostra nella Massoneria.
Altro pantano dove, sotto i vari archi celesti dei templi delle logge, mafiosi, uomini dello Stato e professionisti si aiutarono vicendevolmente grazie alle loro entrature con mutui scambi di favori, carriere ed affari sempre più squalificanti e compromettenti, terreno fertile dove altri agenti dei Servizi segreti, sotto varie spoglie, ebbero ulteriore opportunità per predisporre trame e ricatti, per servire i loro padroni.
Chi materialmente rese possibile l’ingresso di Cosa nostra nella Massoneria fu un amico del Chisena, un Gran Maestro, che da Torino lo raggiunse a Catania nel 1977, tale Savona Luigi. Questi per alcuni giorni si fermò presso l’hotel Excelsior, dove organizzò una serie infinita d’incontri e di colloqui anche con personaggi di livello di Cosa nostra per poi trasferirsi a Palermo e Trapani e realizzare il progetto.                  
Vedendo chi era anche il Savona, sono certo che la scelta non fu occasionale, ma programmata e probabilmente era anche lui un agente esterno.
Il Savona era originario di Palermo e ciò rendeva più facile ogni approccio, ufficiale in congedo, già appartenente alla R. S. I. dove aveva prestato servizio con il grado di tenente nelle SS italiane a Venezia, era diventato Gran Maestro della Serenissima Gran Loggia Nazionale degli Antichi Liberi Accettati Muratori Obbedienza di Piazza del Gesù e presidente del “ Ciclopi Club”, associazione culturale allora presente a Torino, nata con lo scopo di rinsaldare i legami siculo – piemontesi.
L’essere considerato il braccio destro del Gran Maestro Bellantonio Francesco, noto per aver concesso l’affidavit all’altrettanto noto massone e banchiere Michele Sindona, la presenza presso la sua Loggia di Torino di quel dr. Joseph Miceli Crimi inquisito poi con altri massoni della nota Loggia La Camea quali Gran Maestro Vitale Aldo per il finto sequestro Sindona e la tentata estorsione nei confronti del finanziere E. Cuccia di Mediobanca sicuramente qualificarono il Savona l’uomo idoneo a quel compito.
Altri elementi significativi sul personaggio e sul fatto che fosse un agente esterno impegnato come il Chisena ed altri al servizio di quella Lobby per portare avanti la nota strategia “destabilizzare per stabilizzare”  sono dati dal fatto che il personaggio fu oggetto d’indagini dall’AG di Torino, l’allora G.I. dr. Violante, per la vicenda del “golpe bianco” e le deviazioni del S.I.D., l’allora Servizio segreto italiano. Fu indagato anche dal dr. Falcone che evidenziò i suoi rapporti con un altro massone e mafioso siciliano: il noto Mandalari in una inchiesta sul Centro sociologico di Palermo, organismo di copertura di Logge segrete presso le quali figurano boss come Salvatore Greco, i cugini Salvo, Mariano Agate ecc.
Furono anni segnati da esperienze intense quelli che visse Ilardo seguendo il Chisena, partecipò ad ulteriori incontri con agenti dei Servizi segreti, in due occasioni presso l’arsenale militare della Marina in Augusta. Questi consegnarono al Chisena una valigia con all’interno 50 kg. d’esplosivo al plastico di colore verde mare che avevano prelevato all’interno del comprensorio e che il mafioso portò in Calabria per utilizzarlo in più attentati.
Chisena aveva anche un suo nucleo di uomini, tutti ragazzi calabresi, molti con trascorsi nella destra extraparlamentare; uno di questi, tale Turro Annunziato Palmiro detto “Nuccio”, un killer freddo e spietato che poi entrerà a far parte integrante della Mafia legandosi prima ai Madonia di Caltanissetta e poi con Santapaola, gli confidava che quale affiliato alla cosca di Domenico Martino aveva collaborato con altri in una operazione coordinata dai Servizi segreti per allontanare dalla Calabria Franco Freda e farlo espatriare in Francia.
Sempre in quel periodo Ilardo ebbe modo di conoscere Pazienza che si trovava in Sicilia a Palermo e con il suo amico Cannizzaro ebbero alcuni incontri. Venne presentato come uomo di Cosa nostra perché l’agente segreto aveva fatto espressa richiesta ai suoi contatti di avere degli abboccamenti con persone dell’organizzazione. Con lui discusse di poter realizzare per l’Arma dei CC. una base per gli elicotteri a Bocca di Falco. In seguito ebbe ancora qualche occasione di vedere il personaggio anche a Roma, ma di ciò si ripromise di parlarne in seguito.

In un altro incontro con agenti dei Servizi segreti avvenuto a Roma, in Piazza Cavour, pochi giorni dopo il sequestro Moro, Ilardo vide il Chisena consegnare ai suoi due interlocutori alcune mazzette di denaro che aveva prelevato da una borsa colma di soldi. Quel drammatico sequestro era avvenuto in un quadro di connivenze gravissime, dove più interessi manovravano e manipolavano gli eventi di quegli anni e tutto precipitava alla notizia della “collaborazione” dello statista. 
Il covo BR di via Gradoli a Roma non fu perquisito per depistaggio dei Servizi segreti che architettarono anche il falso comunicato delle BR per mano del falsario romano Tony Chichiarelli, già sospettato di far parte della banda della Magliana, che indicava il lago della Duchessa come il luogo dove era stato gettato il corpo dello statista.
Era il preludio della sorte che avrebbe atteso Moro ed invero la sua prima sepoltura sarà nel portabagagli di una autovettura. Forse qualcuno ha detto “everything ok”.
Quando la notizia del ritrovamento del corpo di Moro fu trasmessa alla radio questa raggiunse Chisena e Ilardo mentre erano in auto. Ilardo vide diventare scuro in volto l’amico che disse solo: “allora l’hanno fatto”. Quello fu l’unico commento e per tutto il viaggio Chisena non parlò più restando immerso nei suoi pensieri.
Che Chisena come uomo dei Servizi avesse svolto dei compiti anche in direzione delle BR fu un fatto certo. In alcune occasioni Ilardo lo accompagnò a Torino dove ebbero incontri con un magistrato di quella città, tale Moschella Luigi Giuseppe Michele, che nel 1978 aveva sostenuto l’accusa nel primo processo al gruppo storico delle BR. Tramite lui l’amico ebbe dei contatti con esponenti di quella organizzazione.
Il dr. Moschella, originario di Messina, era stato facilmente “arruolato” dal Chisena che conosceva la sua nota debolezza per le opere d’arte e d’antiquariato e per questo ricevette in dono oggetti di notevole valore dalla Sicilia.
E’ storia che quei progetti eversivi di occupare le Istituzioni, per realizzare uno Stato più autoritario ponendo ai vertici dei vari Ministeri uomini fidati, fallirono ed allora i vari burattinai avvalendosi sempre degli stessi agenti dei Servizi segreti attuarono una vasta opera di pulizia e di sganciamento da tutte quelle appendici pericolose che potevano compromettere autorità ed apparati istituzionali deviati come ad esempio i Mar (Movimento Azione Rivoluzionaria) di Carlo Fumagalli o i Nuclei per la difesa dello Stato organizzati da Freda e Ventura.
Chisena ed altri che svolsero compiti come i suoi non poterono sfuggire al loro destino. L’occasione per lui giunse quando fu tratto in arresto per la seconda volta. Gli fu tolta ogni protezione, detenuto presso il carcere di Fossombrone nell’aprile 1981 fu assassinato da un commando composto dagli uomini di Cutolo tra i quali Pasquale Barra detto “o’ animale” ed esponenti delle Brigate Rosse tra i quali Bonisoli Franco.
In questa “opera di pulizia” fu eliminato anche Domenico Tripodo che morì nel carcere di Poggioreale (NA) per mano dei soliti uomini di Cutolo e del boss calabrese Paolo De Stefano.
E’sintomatico di ciò quello che disse molti anni dopo il brigatista Alberto Franceschini. Questi  riferì che il boss Francis Turatello gli aveva detto nel corso della comune detenzione di aver rifiutato di far parte di un gruppo clandestino al soldo dei Servizi segreti per compiere anche assassini. Turatello fu assassinato tempo dopo in carcere ancora dagli uomini di Cutolo e per mano di Pasquale Barra.
Non ebbe migliore sorte anche il Chichiarelli che fu assassinato con barbara ferocia poco dopo aver partecipato ad una rapina nel 1984 a Roma presso la Brink’s Sekurmark, una società di trasporto valori, realizzando un bottino di ben 34 miliardi di lire.
In quell’occasione il falsario lasciò stranamente una serie d’indizi quali la testina rotante della macchina da scrivere elettrica con la quale aveva scritto il falso documento delle BR (quello del lago della Duchessa) e alcuni fazzolettini di carta dello stesso tipo di quelli utilizzati per tamponare il sangue delle ferite d’arma da fuoco dell’On. Moro trovati nel portabagagli. Fazzolettini di carta mai chiamati in causa per quello scopo dai brigatisti che parteciparono al sequestro e che poi decisero di collaborare con i vari magistrati.
Ilardo successivamente ebbe altre occasioni di parlare dell’operato dei Servizi segreti all’interno di Cosa nostra; ciò avvenne al tempo della sua detenzione presso il carcere dell’Ucciardone.
Riguardò tre efferati omicidi che avevano scosso fortemente l’opinione pubblica. Il compagno di reclusione, uomo d’onore di alto livello, gli confidò che dietro quei crimini c’erano dirette responsabilità dei Servizi segreti e precisamente: le morti del bambino Domino Claudio del 7 ottobre 1986, quella dell’agente di PS Agostino Antonino e della di lui moglie Castelluccio Giovanna del 5 agosto 1989 e quella di un altro agente di PS Piazza Emanuele del 19 marzo 1990.
Il compagno di detenzione gli descrisse anche il probabile Killer: era una persona alta, magra e di brutto aspetto. Ricordo che Ilardo lo definì “una faccia da mostro”. Questi era un agente del SISDE o collegato al Servizio. Il personaggio gli fu anche indicato quando la televisione trasmise alcuni filmati a commento degli eventi delittuosi. Circostanze che gli vennero poi confermate anche dai suoi familiari nel corso dei colloqui e ciò nei momenti in cui si trattavano gli affari di mafia.
Ilardo avrebbe parlato di questi delitti come di quei mandanti esterni a Cosa nostra che si celavano dietro le morti degli On.li Pier Santi Mattarella e Pio La Torre e di Giuseppe Insalaco già sindaco di Palermo.
Fatti questi che anticipò in mia presenza al col. Mori quando lo presentai al collega prima d’incontrare i magistrati siciliani. Il col. Mori ascoltò impietrito queste poche parole prima di allontanarsi velocemente e senza dire nulla: “Molti degli attentati, che sono stati attribuiti esclusivamente a Cosa nostra, in realtà i mandanti risiedono nelle Istituzioni”. 
Oscuri intrecci che non mi erano nuovi, perchè da tempo avevo imparato ad osservare quanto mi circondava con occhi diversi come mi aveva insegnato il gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa. E queste infiltrazioni avevano permeato anche il nostro ambiente. Come non ricordare le tante difficoltà e gli ostruzionismi che incontrammo con l’allora col. Bozzo per svolgere quelle indagini che il generale ci aveva affidato e che da allora mai ci abbandonarono. In quegli anni il generale Dalla Chiesa ebbe come avversari non solo le BR, ma i superiori come il gen. Palombo, grande amico di Sogno ed i suoi colleghi tutti affiliati alla Massoneria, come anche i gen.li Picchiotti, Grassini poi direttore del SISDE, Santovito, De Sena, Cappuzzo, palermitano di Travia, insignito anche dell’ordine dei”Cavalieri del Santo Sepolcro” del costruttore palermitano Cassina, Siracusano e Pietro Musumeci che operarono anche in Sicilia.
Musumeci originario di Catania divenne alto funzionario del SISMI grazie all’opera anche di personaggi come Flavio Carboni e Pazienza, che aveva realizzato una funzionale rete eversiva alle dipendenze del Servizio stabilendo contatti con i rappresentati di famiglie mafiose come Calò ed altri.
Il gen. Musumeci come SISMI si occupò fra l’altro del sequestro Moro depistando gli investigatori dalla possibile individuazione del covo BR di via Gradoli a Roma, diffondendo il falso comunicato BR sul ritrovamento del corpo dello statista nel lago della Duchessa, si occupò anche della strage di Bologna e del sequestro Cirillo gestendo contatti con cutoliani e brigatisti rossi nelle carceri.
Ed allora le inchieste sugli attentati dinamitardi avvenuti negli anni ’74 – ’75 a Savona, quelle su personaggi appartenenti alla destra come Sogno, Cavallo, Dionigi, Francia e Meli, l’assassinio del giudice Occorsio le cui indagini erano state trasferite per competenza a Firenze, l’arresto dell’avv. Minghelli abituale difensore di eversori di destra nonché massone e quelle sulla banda dei Marsigliesi sospettati di perpetrare sequestri di persona per finanziare attività eversive condussero il gen. Dalla Chiesa nel maggio 1981 a dire ai giudici istruttori milanesi Turone e Colombo che gli autori di molti delitti attribuiti all’estrema destra potevano trovare supporto e sostegno in ambienti politici e non lontani dalla Massoneria.
Lo stesso nostro gruppo nel tempo ha mostrato che più anime si agitavano e che tutte non erano agli ordini del generale Dalla Chiesa. Ciò è stata un’amara constatazione.
Il mio ex collega delle Sezioni Speciali lotta al terrorismo Roberto Arlati nel suo libro Le carte di Moro ha raccontato che i cap. Bonaventura e Ruffini della Sezione Anticrimine di Milano di fatto rispondevano solo ai colonnelli Mazzei e Panella della Divisione di Milano che operavano un diretto controllo sulle attività antiterrorismo del reparto e ciò con l’avallo del Comando Generale.
Mazzei e Panella poi risultarono iscritti alla Loggia P2. Come ricordava lo stesso Arlati era stato ancora il cap. Bonaventura a prelevare dal covo BR di via Monte Nevoso a Milano il memoriale di Moro appena trovato e non esaminato e senza darne avviso ai magistrati Pomarici e Spataro portato in ufficio presso la caserma di via Moscova e lì fotocopiato.
L’originale poco dopo ritornava presso il covo per essere menzionato nel verbale di sequestro, ma non si era più sicuri della sua completezza. Copia di quanto fotocopiato fu dato al gen. Dalla Chiesa che la portò a Roma per consegnarla all’autorità politica di governo.
Era stato lo stesso Bonaventura ad anticipare questo racconto nel maggio 2000 all’allora presidente dr. Pellegrino della commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. Ciò con enorme sorpresa dei PM milanesi poi ascoltati dal Senatore Pellegrino.
Bonaventura ovviamente disse che nulla era stato sottratto alla copia originale del memoriale.
Il collega pochi anni dopo lasciava le Sezioni Anticrimine e transitava prima presso il pref. Sica all’ufficio dell’Alto Commissario dirigendo con nostra grande sorpresa l’ufficio della criminalità organizzata di stampo mafioso, dopo di che transitò al SISMI, alla I Divisione, con i suoi più stretti collaboratori raggiungendo altri nostri colleghi già approdati a quell’organismo.
Già suo padre era stato un alto funzionario dei Servizi segreti in Sicilia e responsabile del Centro di Palermo proprio quando il generale Dalla Chiesa aveva comandato da colonnello la legione di Palermo. Dalle considerazioni che il comandante alcune volte fece intuii che non gradiva molto le sue visite.
Il generale Dalla Chiesa ci insegnò il significato di obbligazione morale specialmente nei confronti dello Stato di cui nutriva profondo amore e rispetto e di proseguirne la tutela, nonostante giorno dopo giorno nell’affrontare il nostro lavoro seguendo la sua traccia ci sentissimo sempre più soli e mal sopportati, considerazioni che più di una volta facemmo con il col. Bozzo.
Mai ho pensato di dare ascolto a falsi sacerdoti dell’ideologia, maghi della verità, mai ancora ho pensato che mi conviene stare un po’ di qua e un po’ di là, chiudendo un occhio, cercando il consenso, il plauso e, perché no, il tornaconto personale.
Meglio essere considerati difficili piuttosto che don Giovanni del successo, ben sapendo la mutualità di quanto mi disse Ilardo:
“In Sicilia ci sono delle usanze, che quando un onorevole dava una battuta ad un uomo d’onore con il quale era in confidenza e diceva quello sta rompendo le scatole, detto in un certo qual modo significava che quello era un pericolo. Quindi si doveva già incominciare a provvedere a farlo stare zitto, oppure toglierlo dalla scena completamente.”
Michele Riccio

 

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Il colonnello dei carabinieri
Michele Riccio

Il colonnello Michele Riccio inizia la sua carriera quando, dopo aver operato in Sardegna e sul confine Iugoslavo al comando della Tenenza CC. di Muggia (TS), nell’ottobre del 1975, viene trasferito al comando del Nucleo Investigativo CC. di Savona.
In seguito ad alcune fortunate operazioni di servizio che vedevano l’arresto di pericolosi latitanti affiliati alla ‘Ndrangheta, la liberazione di alcuni sequestrati e la risoluzione di alcuni efferati omicidi, veniva notato dall’allora Gen. Dalla Chiesa, comandante della brigata Carabinieri di Torino che gli affida numerose indagini molto delicate.
Questo rapporto continua anche dopo il suo incarico di Responsabile Nazionale del circuito carcerario; poi, alla conclusione della vicenda Moro, nel 1978, il generale Dalla Chiesa assume il comando del Nucleo Speciale Antiterrorismo e vuole il colonnello Riccio al comando della Sezione Anticrimine di Genova.
Il rapporto fra i due prosegue fino al giorno della tragica scomparsa del Generale e della moglie e non ebbe solo risvolti investigativi, ma anche personali e di affetto.
Alle sue dipendenze il colonnello Riccio gestisce i maggiori collaboratori, primo fra tutti, Peci, partecipando a numerose operazioni e missioni investigative anche al di fuori della Liguria. Nell’ambito di queste attività consegue anche la medaglia d’argento al valore militare.
Prosegue nel suo servizio dapprima sempre nei Reparti Speciali Anticrimine e poi al ROS, svolgendo operazioni nei confronti sia del Terrorismo Nazionale che Internazionale, vedi indagine Achille Lauro, cellula terroristica Hendawi, responsabile di numerosi attentati esplosivi, sia della Criminalità Organizzata di livello anche internazionale, contrastando, quindi, anche i traffici d’armi e di stupefacenti, non dimenticando sempre la liberazione di sequestrati, primo fra tutti la minore Patrizia Tacchella. E’ questa l’ occasione in cui Riccio conosce personalmente De Gennaro.
Tra le varie inchieste anche quelle sulla mafia siciliana, in particolare le connessioni relative all’appalto del Casinò di Sanremo negli anni ‘80 e quella contro gli affiliati della Famiglia di Bolognetta, i Fidanzati.
Dopo queste esperienze passa alla DIA dove riceve dal Dr. De Gennaro l’incarico di dare vita all’inchiesta che denomina «grande Oriente», dal nome in codice della fonte, «Oriente», aggiunge il termine «grande», con riferimento agli ambienti massonici che erano uno dei contesti principali dell’indagine e pericolosa continuità per il bene dell’Istituzione. Il resto è storia o cronaca.


ANTIMAFIADuemila N°50