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Indice articoli

Il Postino di Provenzano
Uno dei momenti più importanti della indagine si verificava il 12 Aprile 1994, allorquando Ilardo, Ciro Vara e Tusa Antonio, il terzo più giovane ed incensurato dei fratelli Tusa, ricevevano la visita del Simone Castello proveniente da Bagheria.
L’imprenditore, con fare divertito, mostrava agli “amici” delle buste contenenti delle lettere e nel fare presente d’averle ricevute dal “ragioniere” (Provenzano) affermava di aver ricevuto disposizione d’imbucarle dalla Calabria, dove appunto si stava recando e ridendo affermava: … “ne vedremo delle belle”.
Andato via il Castello avevano immediatamente ipotizzato che era in atto una nuova manovra destabilizzante del Provenzano, tesa sicuramente ad ottenere un nuovo risultato simile a quello conseguito con le lettere del “Corvo” e questa volta probabilmente ci sarebbe stata una rivelazione su una qualche gestione anomala di pentiti, figura da loro molto temuta.
L’Ilardo, nel riferirmi l’episodio, non mancava di sottolinearmi che se lo scopo delle lettere era quello presupposto anche questa volta l’autore non era certo Provenzano, ma gli ambienti superiori di suo riferimento.
Precisava ancora che il Castello mascherava la sua attività di “postino” con il suo lavoro d’imprenditore d’agrumi, che nel recarsi a Pachino, cittadina nel Ragusano dove aveva un’altra sua azienda del settore, si fermava per qualche momento dal Tusa Antonino, da poco laureato in agronomia, per chiedere consigli e pareri.
I Tusa, scientemente, avevano preferito non esporre un loro congiunto, il più predisposto agli studi, per aver un familiare apparentemente estraneo alle loro attività criminali che poteva seguire e giustificare un domani il patrimonio di famiglia e nel frattempo gestire quei contatti riservati in modo inosservato.
Giorni dopo, gli organi di stampa davano ampio risalto alla notizia che Bernardo Provenzano era vivo e che aveva scritto, firmando di suo pugno, delle lettere indirizzate a due avvocati nominandoli suoi difensori ed ai Presidenti della Corte d’Assise e della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, comunicando la scelta dei difensori per i procedimenti dove era imputato.
Uno dei due legali era l’avvocato Traina, già difensore di Luciano Leggio.
L’esame del timbro postale della lettera e quello del tabulato telefonico del suo cellulare stabilivano che il Castello, in data 13 Aprile 1994, si trovava nella zona di Reggio Calabria, luogo di spedizione della lettera.

Cosa Nostra e le Istituzioni …

Alcune volte Ilardo preferiva non parlare di avvenimenti o di storie di Cosa Nostra e comprendevo allora che aveva bisogno di un contatto umano e lo lasciavo tranquillo. Così mi spiegava degli sforzi che stava compiendo per risollevare la famiglia, per ridare un po’ di dignità e benessere sia al padre, ormai vecchio e malato, che alla sua compagna, alla quale era profondamente legato.
Mi confidava che la figlia più grande gli dava delle apprensioni, che si era legata con un ragazzo piuttosto avventato e già incline a percorrere una strada che non gli piaceva.
Suo desiderio ed impegno erano quelli di rimettere in attività l’azienda di Lentini fornita di stalle e campagna, alla quale il padre era molto legato e che un tempo era fiorente.
Ricordo ancora sorridendo le occhiate divertite che un giorno ci scambiammo con lui quando il padre, che mi conosceva quale responsabile di una finanziaria del Nord Italia interessata ai progetti del figlio per meglio qualificare le potenzialità dell’azienda, iniziò a raccontare del tempo che cavalli ed asini, in gran numero, crescevano nelle stalle della fattoria e grandi pranzi erano imbanditi sotto i pergolati più freschi e riparati dalle alte mura di cinta.
Incontri conviviali che vedevano la partecipazione d’autorità, d’alti ufficiali dei Carabinieri e dell’Esercito.
Il padre Calogero, nel 1985, era stato inquisito per associazione per delinquere ed altro insieme al Generale Ferroni Francesco dei Servizi Veterinari, per l’anomala compravendita di quadrupedi per l’Esercito.
In sede d’interrogatorio il Gen. Ferroni si giustificò affermando d’aver conosciuto l’Ilardo Calogero tramite il Ten. Col. dei Carabinieri Serafino Licata.
Ufficiale, già Comandante del Gruppo Carabinieri di Catania, coinvolto e poi prosciolto in numerose inchieste, anche a seguito degli asseriti rapporti con Santapaola, mafioso già confidente dell’allora Ten. Col. dei CC. Franco Morelli nativo di Catania ed iscritto alla Loggia P2. 
Una sera, mentre era intento a farmi comprendere che Cosa Nostra andava affrontata con cautela perché molteplici erano le sue colleganze e cointeressenze in ogni settore della vita pubblica, istituzionale ed imprenditoriale - perciò anche l’amico più fidato poteva costituire un potenziale pericolo - mi rappresentava che il giudice Falcone era stato ucciso su mandato di quelle Istituzioni deviate.
Il magistrato, nonostante fosse stato trasferito in Roma con l’assegnazione di un incarico di prestigio e poi con la promessa d’altro nuovo ed importante impegno professionale, non aveva mai smesso di continuare le sue indagini su Palermo.
Attività investigativa che conduceva con il suo amico, il dr. Paolo Borsellino, non consentendo o permettendo così di far archiviare le varie inchieste giudiziarie che erano nate su suo principale input e che costituivano potenziali pericoli per Cosa Nostra e per i suoi “referenti politici”.
Secondo Ilardo (come scritto nel mio rapporto “Grande Oriente”), mandante dell’assassinio del giudice, di quello della moglie e degli uomini della scorta era stato l’On. Martelli che agiva su disposizione dell’On. Andreotti al quale era legato.
Ilardo, già all’epoca della sua detenzione presso l’Ucciardone, la casa circondariale di Palermo, era stato informato dai suoi familiari, anche quale esponente della Famiglia, che il giudice Falcone non era stato più ucciso con il progetto illustratogli dal co - detenuto Filippo Marchese, con l’utilizzo di un lancia missile, in quanto il magistrato era stato bruciato politicamente dai Socialisti.
In riferimento mi accennava, rimandando in seguito ogni altra notizia, che l’attentato dell’Addaura era stata una messa in scena strumentale a determinare il trasferimento del dr. Falcone.
Il giudice Borsellino veniva di conseguenza ucciso perché avrebbe sicuramente proseguito l’azione investigativa e la morte dell’amico gli aveva fatto comprendere chi fossero i mandanti dell’attentato.
Cosa Nostra sospettava che l’azione promossa dal dr. Falcone procedesse in sintonia, o in raccordo non palese, con quella condotta dalla Procura di Milano.
Riferiva ancora, rimandando in seguito ogni approfondimento, che molte ombre aleggiavano dietro l’arresto di Totò Riina ed all’interno di Cosa Nostra si commentava apertamente il ruolo avuto dai Servizi Segreti nelle vicende del Boss e dagli strani contatti avuti con personaggi sconosciuti anche ai suoi più stretti collaboratori (la vicenda del “PAPELLO” come poi la chiamerà Giovanni Brusca).

Cosa Nostra negli anni ‘70 i rapporti con le Istituzioni Deviate, i Servizi Segreti, la Massoneria e la Destra Eversiva
In questo cauto procedere, teso a non pregiudicare la fiducia di Ilardo, che vedevo crescere giorno dopo giorno nei miei confronti, riuscivo a riprendere quei temi interessanti, gli eventi di un non lontano passato e che ora con gli stessi “ambienti deviati” stava promuovendo la medesima strategia fatta anche di attentati stragisti.
Ciò in applicazione a quanto affermava il giudice Falcone che “nella lotta alla Mafia è importante avere la memoria”, concetto che avevo già imparato, e bene, nel mio lungo servizio alle dipendenze del Gen. dalla Chiesa.
Nell’intenzione di trattare in seguito con un articolo dedicato esclusivamente ad esaminare gl’intrecci Mafia – Massoneria ed ordini Cavallereschi, di cui non solo il Gen. dalla Chiesa ed il Gen. Bozzo n’avevano colto l’importanza impegnandomi in indagini, ma gli stessi magistrati Falcone in Palermo e Turone e Colombo in Milano con le loro inchieste sull’omicidio Ambrosoli del 1979 - commissario liquidatore della “Banca Privata Italiana” di Michele Sindona - ora desidero dare solo un quadro generale del tema, per meglio illustrare questo momento dell’inchiesta.
Indagine che, a seguito delle ulteriori informazioni dell’Ilardo, trovava ancora immediata colleganza e riscontro autorevole con quanto dichiarato nel Maggio del 1981 dal Generale dalla Chiesa ai Magistrati di Milano.
Colleganza che si aveva anche su quanto scritto sul periodico “I Siciliani”, fondato da quel giornalista Giuseppe Fava assassinato da Cosa Nostra il 5 gennaio del 1984 per la sua lotta contro la Mafia ed i Poteri forti ad essa collegati, con un articolo dal titolo “I Nemici di Dalla Chiesa”, riportando fatti che ho vissuto al pari di miei colleghi e superiori.
 L’articolo, richiamando le dichiarazioni del Gen. dalla Chiesa e dell’allora Ten. Col. Bozzo rese ai predetti magistrati Turone e Colombo di Milano, denunciava l’esistenza di un forte gruppo di potere all’interno dell’Arma di ispirazione Massonica con chiari riferimenti alla Loggia P2 e ad obbedienze occulte.
Significativo era il richiamo alla strana carriera percorsa dal Generale dei CC Pietro Musumeci, ufficiale di origine catanese, conclusasi con l’installazione per conto della P2, insieme a personaggi come Pazienza, nella realizzazione di una rete eversiva ai vertici dei servizi segreti italiani.
L’articolo denunciava ancora che nel predetto gruppo di potere presente nell’Arma sin dal 1972 comparivano alti ufficiali siciliani, o successivamente operanti in Sicilia, come Musumeci ed il Gen. Siracusano G.
Nel giugno del 1979, in Milano, il Gen. dalla Chiesa per la prima volta li contrasta apertamente. Ricordo che nello stesso anno veniva assassinato il direttore di OP Mino Pecorelli, in rapporti con il Generale dalla Chiesa, iscritto alla P2, da cui si dimetteva nel 1978, e che aveva mirato alla direzione del quotidiano il Messaggero.
Contrasto parallelo era anche quello che opponeva il Generale dalla Chiesa al Generale Cappuzzo, Comandante Generale dell’Arma ed esponente in Sicilia dei “Cavalieri del S. Sepolcro”, del costruttore palermitano Cassina, che vedevano tra gli altri la presenza del Colonnello dei CC Serafino Licata.

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