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Indice articoli

Continuano le rivelazioni del confidente Luigi Ilardo

di Michele Riccio

Proseguiamo, dal numero precedente, nella ricostruzione della vicenda di Luigi Ilardo, confidente del ROS, che, con il suo contributo, ha reso possibile la cattura di numerosi latitanti di grosso calibro facenti parte di Cosa Nostra. Sarà il colonnello Michele Riccio stesso, che ha raccolto in prima persona le dichiarazioni di Ilardo, a condurci nello studio del caso, che cela, a nostro avviso, importantissime informazioni, non solo sulla vita occulta dell’organizzazione e del suo capo indiscusso, Bernardo Provenzano, ma anche sugli intrecci esterni che coprono da sempre Cosa Nostra.

Ilardo e Piddu Madonia
Luigi Ilardo era ufficialmente reinserito nella “Famiglia” di Caltanissetta, il 3 Febbraio del 1994, allorquando accompagnava Giovanna Santoro, la moglie del cugino Piddu Madonia, presso il Tribunale di Gela (CL) dove quel giorno il capo della Famiglia Nissena era presente per un processo e avevano pertanto la possibilità di parlargli.
Il Piddu era contento di averlo visto e di saper libero un familiare di “peso”, al quale lo legava lunga militanza in Cosa Nostra e la grande stima e considerazione del proprio padre, Francesco.
Immediatamente il Piddu gli aveva chiesto d’interessarsi della Famiglia e di contattare, con la cautela di sempre, gli “amici” Ciro Vara e Domenico Vaccaro, gli unici al momento impegnati in discorso aggregante.
Il Vaccaro, dal recente passato di killer coraggioso e spietato, era ora il responsabile provinciale, in quanto dava maggiori garanzie rispetto al Vara per essere meno scaltro e non condizionato dal tutelare ricchezze personali.
La situazione in Gela era piuttosto grave. Imperava confusione ed anarchia, con il gruppo di Rinzivillo in permanente lotta con i ragazzi dei fratelli Emmanuello, noti come i “carusi”, e determinati ad ogni costo ad ampliare la loro sfera d’influenza e di potere.
Il contrasto doveva essere risolto con abilità anche perché, pur non essendo ancora gli Emmanuello tutti uomini d’onore, erano loro ugualmente molto legati a causa delle molte azioni armate che questi avevano commesso per i Madonia, interessati sovente a non apparire perché condizionati dalle regole e dai vincoli di Cosa Nostra.
Era consigliabile che i cugini Tusa Lucio e Francesco, al momento latitanti, si costituissero per non incorrere in ulteriori denunce ed in considerazione della loro difendibile posizione giudiziaria. Francesco, effettivamente, in data 30 Maggio 1994 si costituiva presso la casa circondariale di Catania.
Credo che il vero motivo del consiglio del Piddu nascesse dalla preoccupazione di evitare spiacevoli conseguenze al cugino, per via della scomparsa di 500 milioni di lire frutto di una protezione pagata in Catania dai responsabili di una nota azienda, la “Megara”, di cui questi si era interessato per disposizione di Provenzano.
I responsabili della Famiglia Etnea, non avendo ricevuto la loro parte, la stavano richiedendo con insistenza, promuovendo nel frattempo un’inchiesta interna a Cosa Nostra.
Per come vedremo in seguito, ritengo che il denaro sia stato diviso tra il Provenzano ed il Piddu, ma lo scopriremo meglio vedendo insieme la tragedia che ne nascerà, esempio tipico del vivere e del morire di Cosa Nostra.
L’Ilardo doveva realizzare altro incontro con Eugenio Galea e Vincenzo Aiello, gli uomini d’Aldo Ercolano, nipote di Nitto Santapaola, che ora reggevano le sorti della “Famiglia” di Catania. Ciò per concordare una comune linea d’azione come richiesto dal Provenzano.
Il Piddu, nel raccomandargli sempre prudenza nel muoversi, gli aveva confidato che in Cosa Nostra perdurava ancora una certa apprensione per conoscere il livello della collaborazione del Salvatore Cancemi con la Giustizia. Questi era in grado di assestare un duro colpo all’Organizzazione.
Ciò era quanto mi rappresentava l’Ilardo nel conseguente incontro che avveniva in Roma, città nella quale si era recato per incontrare il Rinzivillo, per affrontare subito la situazione di Gela.
Ilardo, con soddisfazione, aveva accolto il suo reinserimento ai vertici della Famiglia, segno d’immutato riconoscimento delle sue capacità, ma non mi nascondeva una certa tensione e preoccupazione nel vedersi nuovamente proiettato nelle vicende siciliane e questa volta non solo come mafioso. Pertanto mi chiedeva, ancora una volta, prudenza ed attenzione nel riferire ai superiori le notizie acquisite.
Nel corso degli incontri successivi, che come sempre avvenivano in luoghi diversi, mi raccontava dei progressi conseguiti che lo avevano condotto ad avere numerose riunioni con affiliati all’Organizzazione, i quali lo aggiornavano degli eventi e delle problematiche che avevano investito in quei tempi Cosa Nostra e degli effetti derivati.
Gli era stato anche offerto l’incarico di reggente della Famiglia, ma aveva preferito respingere l’impegno, facendo presente che gli era indispensabile avere una certa libertà per assolvere i compiti assegnatigli dal Piddu ed indirettamente dal Provenzano. Che voleva vedere le Famiglie di Caltanissetta, Enna e Catania agire in sintonia e sotto la sua influenza.
L’Ilardo, come mi confidava, preferiva ancora non esporsi per meglio studiare la situazione e giungere pian piano anche alla cattura dei maggiori latitanti posti ai vertici dell’Organizzazione e, perché no, anche a quella del Provenzano, personaggio a lui ben noto. Era solo una questione di tempo e di pazienza.
Ricordo che alle mie continue sollecitazioni rispondeva sorridendo e sovente con un certo sfottò: …”Colonnello, non avete mai voluto cercarlo per tanti anni pur sapendo che Provenzano non si era mai mosso da dove è sempre stato ed ora lei vuole fare le cose subito, per essere sicuri del risultato e non esporsi a pericoli ci vuole un po’ di pazienza e far si che sia Lui a chiedere un incontro“.

Cosa Nostra
Esaminando, pertanto, quel primo flusso d’informazioni ero già nelle condizioni di delineare un primo quadro della situazione esistente in Cosa Nostra.
La frattura del Sodalizio era un dato ormai certo.
Da un lato c’erano Bagarella e Brusca, che potevano contare su l’appoggio dei Madonia di Palermo, della Famiglia d’Agrigento retta da Salvatore Fracapane e di altri parziali seguiti presenti presso le altre Famiglie.
Esempio era quello di Giuseppe Cammarata di Riesi (CL) che aveva trovato riparo presso Di Caro Antonio, del sodalizio d’Agrigento, intuendo le opportunità che gli stava fornendo questo scontro per raggiungere posizioni di vertice nella propria Famiglia.
Questi personaggi erano determinati a seguire la strategia operativa tracciata da Riina se l’azione di contrasto dello Stato non si fosse affievolita.
Dall’altro lato c’era Bernardo Provenzano con il sostegno di Piddu Madonia, di Pietro Aglieri, di Antonino Giuffrè, capo mandamento di Caccamo (PA) e delle altre Famiglie della Sicilia Orientale.
In tale ottica Ilardo doveva agire per risolvere i problemi interni alla Famiglia Nissena e prendere contatto con il responsabile provinciale di Enna, Salvatore la Placa e quelli di Catania, Galea ed Aiello.
Provenzano, a dispetto delle tante voci che lo volevano morto o chissà dove, era ben vivo ed operativo, anche se condizionato dal suo stato di salute e dalla maggiore presenza sul territorio delle Forze di Polizia. Perciò aveva ridotto all’indispensabile gli incontri preferendo inviare disposizioni scritte su bigliettini dal suo rifugio, che doveva essere nei pressi di Bagheria (PA), mediante fidati ed insospettabili messaggeri.
Il personaggio che svolgeva questo compito per la Famiglia di Caltanissetta era un imprenditore ortofrutticolo di Bagheria, tale Simone Castello come poi era identificato.
La strategia del Capo di Cosa Nostra era la seguente:
Priorità assoluta nel raggiungere nelle rispettive Famiglie una stabilità interna nominando un unico responsabile e non accettando provocazioni con la parte avversa dello schieramento; abbandono di quelle attività criminali che avrebbero poi determinato un’immediata reazione dello Stato, quali omicidi, estorsioni, traffico degli stupefacenti che, oltre a prevedere pene severe, consentivano facilmente l’applicazione del reato associativo.
Continuare ad esercitare le solite protezioni che non dovevano essere mai strangolanti e riscoprire altri reati quali ad esempio il contrabbando dei Tabacchi che, oltre a soddisfacenti guadagni, prevedeva pene miti e difficoltà nel dimostrare l’associazione a delinquere.
Cosa Nostra doveva al più presto riassumere l’immagine di un tempo, più affaristica e colloquiante con lo Stato, dove il controllo del territorio e l’immediata presenza nell’affrontare e risolvere le richieste d’aiuto erano componenti essenziali della Sua esistenza, affermazione e forza.
In tale prospettiva era stato stabilito un contatto con un esponente di rilievo dell’entourage di Silvio Berlusconi, personaggio che, in cambio di un loro futuro appoggio alle elezioni, votando “Forza Italia”, avrebbe assicurato già dopo sei mesi di governo il varo di leggi più favorevoli per le persone detenute e più garantiste per gl’inquisiti. Nonché il rallentamento dell’azione di contrasto dello Stato e coperture allo sviluppo dei loro interessi economici, prevedendo la concessione di appalti e finanziamenti statali.
Questo rapporto non sarebbe proseguito in modo subordinato e senza precise garanzie, ma con fermezza, pronti anche a prevedere la formazione di un autonomo soggetto politico. Ma, come già detto nel mio precedente articolo, Bernardo Provenzano era convinto della riuscita del progetto, a cui dava 6/7 anni di tempo per la sua realizzazione.
Già ora era circolante la disposizione di votare Forza Italia, come mi rappresentava Ilardo, indicazione che proveniva da Palermo da dove, come sempre nel passato, si suggeriva lo schieramento politico sul quale si dovevano far confluire i voti.
Successivamente era comunicato anche il personaggio locale da votare, se quest’aspetto rientrava nell’intesa stabilita, altrimenti era lasciata questa decisione agli interessi locali della Famiglia.
Altro dato interessante era la possibilità di votare localmente un personaggio anche appartenente ad uno schieramento avverso (cioè di centrosinistra), se la scelta poteva essere pagante per l’Organizzazione - ovviamente era necessario l’assenso di “Palermo”. Provenzano, in ciò, era persona d’ampie “vedute”.
Sempre con mediatica anticipazione, siamo nei primi mesi del 1994 (come scritto nel mio rapporto dell’epoca – Grande Oriente –), iniziava a circolare con maggiore insistenza la voce che molti mafiosi, in maggior parte reclusi, stavano manifestando l’intenzione di dissociarsi da Cosa Nostra, ammettendo unicamente le proprie responsabilità ed avevano affidato questa volontà a sacerdoti amici e confessori, per farla progressivamente filtrare all’esterno.
Tale strategia, secondo Ilardo, nascondeva il sottile progetto di inabissare la Mafia rendendo noto quanto era già intuibile, tranquillizzando così l’Opinione Pubblica, ma, di fatto, continuando ad operare con una nuova struttura più selettiva e costituita da elementi insospettabili e dediti principalmente agli affari.
Tale notizia, in relazione a quanto denunciato in questi giorni dagli organi d’informazione - in riferimento ad esponenti di livello di Cosa Nostra e della ‘Ndrangheta che hanno avanzato questa possibilità non destando particolare allarme, anzi, suscitando in qualche caso autorevole attenzione e valutazione - non vuole costituire solo un ennesimo riscontro, ma momento di riflessione.
Ancora una volta di più si può dire che Bernardo Provenzano è una persona intelligente e che sa fissare nel tempo i suoi obiettivi. Ma mio parere è che certi progetti, non fondati su calcoli matematici o analisi economiche, per avere attenzione e poi costituire oggetto di dibattito e di valutazione, per essere infine digeriti, necessitano di una strategia superiore che sa di poter contare su di una rete di supporto ben accreditata ed autorevole.

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