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E’ nelle lettere di Ilardo la chiave per arrivare al boss

di Michele Riccio

Diamo inizio, con questo numero, alla ricostruzione della vicenda di Luigi Ilardo, confidente del ROS, che, con il suo contributo, ha reso possibile la cattura di numerosi latitanti di grosso calibro facenti parte di Cosa Nostra. Sarà il colonnello Michele Riccio stesso che ha raccolto in prima persona le dichiarazioni di Ilardo a condurci nello studio del caso, che cela, a nostro avviso, importantissime informazioni, non solo sulla vita occulta dell’organizzazione e del suo capo indiscusso, Bernardo Provenzano, ma anche sugli intrecci esterni che coprono da sempre Cosa Nostra.


prima puntata


Mi chiamo Luigi Ilardo, sono nato a Catania il 13.3.51, attualmente ricopro l’incarico di vice rappresentante provinciale di Caltanissetta, coprendo anche l’incarico di provinciale in luogo di Domenico VACCARO, detenuto.
Ho deciso formalmente di collaborare con la giustizia, dopo essermi reso conto di quello che effettivamente ho perduto durante questi anni, passati lontano dai miei familiari e dai miei figli, nella speranza che il mio esempio possa essere di monito e d’aiuto ai ragazzi che, come me, si sentono di raggiungere l’apice della loro vita entrando in determinate Organizzazioni, come fu allora per me, che sono arrivato a prendere il mondo nelle mani il giorno che fui fatto «uomo d’onore».
Spero che la mia collaborazione dia atto di quanto tutto ciò che fanno apparire è falso, non c’è niente se non tutte quelle scelleratezze di cui alcune persone si sono macchiate, facendo cadere nel nulla tutto quello di buono che c’era in questa Organizzazione.
Cosa Nostra è diventata solo una macchina di morte, di tragedie e di tante menzogne.
Oggi, dopo tutto quello a cui abbiamo assistito, tanti delitti così orrendi di cui si sono macchiate certe persone che, sono state e sono ai vertici di questa Organizzazione, facendo ricadere la colpa su tutti gli affiliati, perché ormai gli affiliati di Cosa Nostra, portano dentro il marchio di essere stati tutti dei sanguinari  e delle persone che non vedono altro che il delitto...
L’unica cosa che mi ha spinto è stata la ricerca della normalità della mia vita e di quella dei miei figli, perché sono stati i loro sacrifici, i loro dolori, specie in questo ultimo periodo della mia carcerazione in strutture speciali, a farmi capire i veri valori della vita che non ho mai trascurato perché amo profondamente i miei figli...
... ...ho capito che l’unica strada che mi poteva ridare un po’ di tranquillità è questa della collaborazione. L’ho accettata volentieri e sono pronto ad andare incontro a tutto quello che questa mia decisione comporterà. Confido solo nelle persone che mi dovranno condurre in questa strada, gestendo quella che è la mia volontà e confido molto che queste persone, prima di tutto, mettano avanti la possibilità dei pericoli che possono correre i miei familiari, dopo di ciò io sono disponibilissimo a tutto quello che c’è da fare, sono pronto a parlare di tutto quello che concerne la mia vita, dal momento che sono entrato in Cosa Nostra a oggi che ho deciso di uscirne formalmente.

Con queste parole, verbalizzate poco prima di venire ucciso il 10 maggio 1996, Luigi Ilardo voleva far comprendere ai tanti che potevano essere indotti ad avvicinarsi a Cosa Nostra, attratti dal suo mito di temuto rispetto e facile ricerca di agiatezza nonché alle sue figlie e al figlio, il maggiore, di cui era certo che in un primo momento, non avrebbero compreso le ragioni che lo avevano determinato, prima, ad allontanarsi da Cosa Nostra e poi a decidere di combatterla.
Ricordo ancora il giorno in cui registrai quelle frasi, successivo di pochi giorni all’incontro del 2 maggio ‘96 con i magistrati di Palermo e Caltanissetta in Roma, ed anche quella volta, come le altre, ci ospitava una delle campagne di un diverso paese che raggiungevamo da distinte direzioni percorrendo le solite trazzere che, come vene di un corpo, segnano quelle terre.
In questi tre anni di quell’esperienza, più di una volta mi sono soffermato a riflettere che in fondo, andando da solo ad uno di quegli incontri, fissati alle ore più diverse; sovente all’alba o nella tarda serata, indirettamente partecipavo, anche se con un ovvio diverso ruolo, ad un momento proprio e significativo del vivere Mafia.
In più di un’occasione l’Ilardo mi aveva fatto presente che, uno dei momenti più difficili dell’esistenza di un appartenente a Cosa Nostra o alla mafia in genere era quello di recarsi ad un incontro con gli altri affiliati all’organizzazione, specialmente quando era fissato nel bel mezzo di una campagna, precauzione presa per meglio individuare i possibili pedinamenti posti in essere dalle forze dell’ordine, specie quando all’incontro partecipava un latitante e nell’occasione si doveva affrontare una problematica, la cosiddetta «tragedia», altra essenza fondamentale di lieto vivere.

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