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Il pm Ingroia, in occasione della presentazione spiega perché la trattativa è ancora in corso



La sera del 23 novembre si è tenuto, a Firenze, un convegno per la presentazione del libro di Maurizio Torrealta, “La Trattativa”. Presenti all’incontro, oltre all’autore, anche l’avvocato di parte civile Danilo Ammannato ed il sostituto procuratore della Repubblica di Palermo Antonio Ingroia. Quest’ultimo, rispondendo alle domande del moderatore ha introdotto il testo collegando la ricostruzione storica con gli eventi attualmente in corso.

Ci sono pochi commenti da fare riguardo all’inquietante e grave tentativo di intrusione nel computer del collega (Michele Prestipino, ndr.) che si occupa specificamente di acquisire dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia, Antonino Giuffré. Credo, però, che si possa fare una riflessione sulla situazione in cui ci troviamo che è la prosecuzione, il punto di arrivo, per certi versi, anche se non finale, della storia che Maurizio Torrealta ha scritto in questo bel libro che inviterei tutti a leggere. Un libro importante non tanto per merito dell’autore o per quelle poche pagine di una mia intervista che lo introduce, quanto per la materia che tratta. Torrealta ha fatto un’operazione preziosissima di informazione del grande pubblico che non conosce quello che i Tribunali, le Corti d’Assise di Firenze, di Caltanissetta e la magistratura italiana nel suo complesso hanno accertato in questi anni rispetto al terribile biennio di sangue del ’92-’93. Su quei due anni ci sono buchi neri, ma sono state scoperte anche tante verità. Capire cosa abbia ispirato quella strategia, cosa sia successo durante la fase delle stragi e subito dopo, capire, infine, perché l’organizzazione mafiosa, improvvisamente e senza apparente motivo, abbia abbandonato la strategia stragista, forse ci aiuterebbe a comprendere gli eventi di questi ultimi tempi. In questi mesi, infatti, abbiamo assistito al lancio di un clamoroso proclama, da parte di Leoluca Bagarella, dopo tanti anni di silenzio, diretto a politici da lui genericamente indicati, pur avendo in mente nomi e cognomi ben precisi di personaggi che sapevano di essere i destinatari del suo messaggio in cui si leggeva: “Noi mafiosi siamo stanchi di essere usati dalla politica, in cambio vogliamo vedere qualcosa di concreto”. Qualche settimana più tardi, peraltro, c’è stata un’altra iniziativa senza precedenti proveniente dalle carceri, una lettera sottoscritta da molti boss che hanno detto la stessa cosa, ma in modo addirittura più esplicito: “Ci sono tanti politici e tanti avvocati, poi diventati politici, che si erano arricchiti con la mafia, e che ora sembrano non fare più gli interessi dei loro ex clienti”. Come mai Leoluca Bagarella ha rotto questo silenzio, così come tanti altri detenuti? Come mai si parla di ben precisi segnali provenienti dall’organizzazione mafiosa che, secondo un rapporto del Sisde (il Servizio di Sicurezza) riportato dai giornali, avrebbe come obiettivo uomini politici in vista dell’attuale maggioranza, che sono anche imputati in processi, cioè i senatori Dell’Utri e Previti? C’erano, probabilmente, delle aspettative rimaste finora insoddisfatte. Oggi i boss ripensano a quanto accaduto durante le stragi e alle promesse fatte loro in base alle quali la strategia stragista fu abbandonata. Questo libro racconta gli sforzi fatti dall’autorità giudiziaria di Caltanissetta, di Firenze e di Palermo, per cercare di ricostruire questa vicenda piena di misteri, anche all’interno della stessa organizzazione mafiosa: è chiaro, infatti, che una trattativa come quella del cosiddetto “papello”, in cui la mafia si è virtualmente seduta al tavolo con esponenti delle Istituzioni per ottenere qualcosa, è un affare così delicato che anche all’interno di Cosa Nostra è stato comunicato solo agli uomini d’onore che ne sono stati protagonisti. Le indagini condotte in questi dieci anni sono state difficili e nessuno di noi può essere certo che arriveranno fino in fondo, benché spicchi di verità importanti siano stati scoperti. E se in futuro queste indagini consentissero di scoprire tutta la verità sui mandanti esterni e sulla trattativa e, magari, dovessero portare alla sbarra e condannare qualche imputato, resterei sbalordito qualora mi dovessi sentir dire che una giustizia che condanna a distanza di tanti anni è iniqua. Senza voler entrare nel merito della vicenda del processo Andreotti, ciò che della sentenza di Perugia mi ha colpito davvero negativamente è proprio che venga paradossalmente criticato il fatto che a distanza di tanto tempo siano stati trovati coloro che sono ritenuti i responsabili. Sarebbe certamente meglio se i responsabili venissero trovati immediatamente, ma tra il non trovarli mai e il trovarli dopo dieci anni, forse è meglio trovarli, seppur in ritardo. La decisione dei giudici, poi, si potrà criticare solo qualora si dimostri non sufficientemente provata. Il libro di Torrealta copre un vuoto informativo spaventoso, ma non vi sono né teoremi, né complotti di pubblici ministeri: riporta brani di sentenze emesse dalle Corti d’Assise di Firenze e di Caltanissetta, organismi composti perlopiù da giudici popolari e non da giudici togati, che sono guardati con grande diffidenza, anche se, ormai, questo vale anche per i giudici popolari della Corte d’Assise di Perugia che, evidentemente, sono stati contagiati dai togati per il semplice fatto di essere stati all’interno della stessa Camera di Consiglio: sono tutti sovversivi, giustizialisti e rossi. Viene resa nota una serie di fatti per anni ignorati dalla grande stampa, fatto per cui ho più volte sollecitato a leggere documenti giudiziari, anche se sono spesso tediosi: noi magistrati e giudici siamo un po’ grafomani e quindi ci vuole molta pazienza a leggere le nostre lunghissime sentenze e a seguirne la sintassi non sempre scorrevole che cela, però, verità giudiziarie importanti, nonostante buchi neri e ombre, su quest’ultima trattativa che, come diceva l’avvocato Ammannato poc’anzi, è ancora in corso. La storia di Cosa Nostra, che risale ai primi dell’Ottocento, è fatta di violenze, di stragi, di omicidi, ma, soprattutto, di trattative. La mafia non è un corpo estraneo rispetto alla nostra società e, spesso, non lo è neanche rispetto al tessuto politico-istituzionale, da cui ha tratto forza, potere e alimento, garantendo contraccambi: appoggi elettorali per i politici, manodopera a basso prezzo o facilitazioni rispetto agli altri concorrenti per gli imprenditori e protezione per i commercianti che, in realtà, altro non è se non la promessa di non commettere danneggiamenti nei confronti degli stessi. Cosa Nostra è diventata, quindi, anche un’organizzazione di potere tale da essere in grado di condizionare pesantemente scelte politiche, strategie economiche e ampie zone del territorio nazionale. Cosa dire delle trattative impostate dai mafiosi con gli americani prima dello sbarco di questi ultimi in Sicilia, durante il secondo conflitto mondiale? Cosa pensare delle trattative, oltre a quella recente, con pezzi significativi del sistema politico per garantire protezione o per tenere a freno le masse contadine del Sud? Cosa dire, poi, di quelle che le hanno consentito di trasformarsi in una sorta di braccio armato a tutela degli assetti costituiti, quando, ai tempi della guerra fredda, incombeva il pericolo del comunismo? La trattativa è stata sempre una caratteristica fisiologica del potere mafioso ed è ancora in corso: i segnali trasversali di tipo intimidatorio, mandati da Bagarella e dagli altri boss, altro non sono che un ulteriore modo di invitare qualcuno, come diceva il signor Riina all’epoca delle stragi, a “farsi sotto”, a farsi avanti, a trattare, per dimostrare che l’organizzazione mafiosa è ancora forte e capace di colpire e, che, quindi, è con lei che bisogna fare i conti, oggi più che mai. Attualmente, infatti, sono in preparazione progetti di profonda riforma della giustizia che, secondo i mafiosi – come è emerso da intercettazioni ambientali –, servono a qualcuno che detiene la maggioranza politica per risolvere i propri problemi giudiziari. E anche se alcune riforme di legge già attuate hanno un impatto negativo nei procedimenti della criminalità organizzata, i mafiosi non si accontentano, ritenendo che in questa fase possano essere cancellate, con un colpo di spugna, anche le loro questioni fondamentali: i carcerati, la revisione dei processi e, addirittura, il maxiprocesso. Si tratta, per esempio, della modifica dell’art. 192 del Codice di Procedura Penale, che rivede il valore di prova delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e che, se approvato, risolverebbe non solo il problema del processo Andreotti o del processo Dell’Utri, cioè dei colletti bianchi, ma anche quello di Totò Riina, Bagarella e compagni. Progetti di riforma che, qualora dovessero andare in porto, porterebbero alla scarcerazione dei responsabili della strategia stragista, attualmente detenuti. Se, invece, per difficoltà interne al sistema politico o per una forte opposizione sociale, questi progetti di riforma non dovessero passare, ci sarebbe il rischio di una ripresa della stagione di sangue. In questi anni, infatti, non solo a causa dell’attuale maggioranza, ma anche per colpa di quella precedente, di centrosinistra, la legislazione antimafia non è più quella che è stata varata subito dopo le stragi e, quindi, non è all’altezza dello scontro e la mafia è tornata ad essere forte e potente sul territorio. Ha soltanto scelto di rinunciare alle stragi, ma è in attesa e, se le aspettative non verranno soddisfatte, è pronta, soprattutto per quanto riguarda l’ala più irrequieta e utilitarista, a ristabilire un piano d’attacco. La situazione, comunque, non è senza via d’uscita, poiché, in passato, l’organizzazione ha subito duri colpi. Ma se si procederà con un’azione che favorisce un progressivo indebolimento degli strumenti a disposizione dei magistrati e delle Forze dell’Ordine per contrastare la mafia, questa diventerà ancora più potente e minacciosa e penserà di poter, impunita, ripristinare una nuova strategia violenta. Solo un’opposizione sociale e politica veramente forte rispetto al progetto di Cosa Nostra di levarsi, da una parte, la voglia di rivincita e, dall’altra, la voglia di trattativa con un preciso settore del nostro sistema politico, potrà invertire questa tendenza. Ma non è una cosa facile e anche se in passato abbiamo attraversato alti e bassi credo che, oggi più che mai, è importante che vi siano, da parte di tutti, grande sorveglianza, attenzione e partecipazione su questi temi. La lettura del libro di Torrealta può aiutare, in questo senso, ciascuno di noi.



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PULCI SUGLI APPALTI
18 novembre 2002


Palermo. Il collaboratore di giustizia Calogero Pulci, ex assessore del Comune di Sommatino e braccio destro del boss nisseno “Piddu Madonia” è stato chiamato a deporre dal pm Nino Di Matteo al processo “Trash” su Mafia e appalti.  Il pentito, attualmente, si trova in carcere per scontare una condanna a 21 anni per omicidio. Sentito più volte dalla Procura di Palermo, in un verbale dell’8 gennaio 2001 Pulci, racconta una confidenza di Piddu Madonia. Agli inizi degli anni Novanta, alcuni esponenti di Cosa Nostra facevano parte di una struttura segreta composta da <<uomini politici e personaggi delle Istituzioni>>. <<Non mi disse come fosse denominata – spiega Pulci – io la chiamo club. Mi disse che era un gruppo di potere a livello nazionale di cui Cosa Nostra si serviva per le ragioni più svariate: dai finanziamenti per la realizzazione di opere pubbliche da appaltare alle imprese vicine alle cosche, fino all’aggiustamento dei processi>>. <<Non so se il club fosse parte della massoneria – continua Pulci su specifica domanda del pm – tra di loro si chiamavano però fratelli, erano in continuo contatto e si riunivano periodicamente a Roma>>. Tra i componenti del club: l’ingegnere Giovanni Bini, rappresentante del Gruppo Ferruzzi in Sicilia, condannato recentemente per associazione mafiosa e l’imprenditore Romano Tronci, ex direttore generale della De Bartolomeis, uno degli imputati del processo “Trash”.
In un altro verbale, del 24 ottobre del 2000, Pulci racconta di aver accompagnato, nel 1989, Madonia ad una riunione importante che si teneva negli uffici di Gino Scianna a Bagheria per la spartizione degli appalti in Sicilia. Attorno al tavolo vi erano Bernardo Provenzano, Piddu Madonia e il gotha dell’imprenditoria di Cosa Nostra, da Filippo Salamone a Pietro Vincenzo, presidente dei Costruttori siciliani arrestato per presunte complicità mafiose. Pulci avrebbe chiamato in causa anche Romano Tronci e Francesco Paolo Romano, della Siciliana Molinari. Tra i numerosi appalti, si sarebbe discusso di quello per il Cefpas di Caltanissetta e del palazzo dei Congressi di Villaggio Mosè, ad Agrigento.

ANTIMAFIADuemila N°27