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di Giorgio Bongiovanni
Le motivazioni delle sentenze delle stragi di Capaci, Via D’Amelio e per le bombe del 1993 non lasciano spazio al minimo dubbio. Parti dello Stato italiano, in ginocchio dopo il brutale, violento e ripetuto attacco frontale di Cosa Nostra, avvenuto a cavallo degli anni ‘92 e ‘93, hanno trattato con i mafiosi. Le modalità, le finalità, i confini e i compromessi con cui si sono sviluppati i colloqui tra le istituzioni e i rappresentanti dell’organizzazione criminale sono stati delineati nelle ricostruzioni fornite da più collaboratori di giustizia e dagli stessi uomini dello Stato coinvolti. Tuttavia, come sempre, i lati oscuri sono diversi e lasciano intravedere un quadro molto più inquietante di quanto appaia quello esplicito. E’ per questo motivo che le procure di Palermo e Caltanissetta hanno aperto un’inchiesta sulla trattativa tra Mafia e Stato.

Settima  parte



Adesso è protesta diffusa. I mafiosi non ci stanno proprio. Il 41 bis è lesivo addirittura dei diritti umani, così come l’ergastolo. Quindi dal primo luglio i detenuti secondo il regime del carcere duro rifiutano il vitto dell’amministrazione penitenziaria, si sono ridotti l’ora d’aria e percuotono le sbarre delle loro gabbie.
E scrivono. Perché oggi le richieste si fanno direttamente e per iscritto.
“Noi detenuti della Casa Circondariale di Ascoli Piceno, sottoposti al regime del 41 bis, abbiamo iniziato una protesta che punta dritto al tema della giustizia, al rispetto della dignità della persona-detenuta. Una protesta pacifica, attivata da tutti i detenuti, mirante a migliori condizioni di vivibilità e a rendere dignità alla persona-detenuta, con riguardo alle limitazioni contenute nelle disposizioni del 41 bis, in particolare nel non poter abbracciare i propri famigliari (figli) dopo tantissimi anni (…)
Chiediamo di riconoscere e rispettare i diritti inviolabili della persona. Lo Stato-Ente che non sa rispettare il soggetto-detenuto, non saprà mai che cos’è la giustizia.
Giustizia significa anche rispetto dovuto a ogni essere umano, qualunque sia la sua condizione, pure il detenuto. (…) Vi chiediamo, psicologicamente come reagiranno i nostri bambini al vetro divisorio che impedisce loro di abbracciarci? Dovranno crescere odiando lo Stato, oppure amare il loro padre e coloro che non li vogliono forzatamente separare? Cosa c’entrano i figli, le mogli, i genitori?”
Alle rimostranze dei carcerati di Ascoli, dove tra l’altro è detenuto Riina, hanno risposto per primi i familiari delle vittime delle stragi, gridando la loro indignazione e non lasciandosi per un solo istante ammaliare dal sentimentalismo strumentale che ha già conquistato i cuori dei perbenisti.
“Per ora di disumano in questo paese ci sono le condizioni alle quali sono sottoposte le famiglie delle vittime di mafia e di coercitivo solo la morte di chi ha dovuto subirla sotto l’uso del tritolo”, ha dichiarato alla stampa Giovanna Maggiani Chelli.
“Noi familiari di vittime di mafia - scrivono in una nota Fiammetta Borsellino, la famiglia di Beppe Alfano e altri – abbiamo deciso di rispondere usando le loro stesse parole: perché non chiedete a noi figli che da anni li vediamo sotto una lastra di marmo, quella sotto cui voi li avete mandati, come ci sentiamo e perché invece non pensate a pentirvi? E perché l’associazione Nessuno tocchi Caino non pensa invece a quanti Abele hanno ucciso? Perché non chiedono a noi se il 41 bis è crudele? Forse perché sanno che risponderemmo invece che è fin troppo morbido e che per questi reati è giusto che ci sia la morte civile e che la giustizia italiana non offra eccessivo garantismo”.
Ma non è ovviamente solo alla questione affettiva o umana che puntano gli scioperanti. E’ con il potere che vogliono avere il dialogo.
“Tutte le autorità sopra citate, devono interrogarsi per quale motivo non viene revocato (dopo tanti anni e quale legge d’emergenza) il regime del 41 bis, o quantomeno annullare alcune disposizioni  lesive dei diritti umani inviolabili
Chiediamo a chi comanda, a chi ha il potere, di mettersi una mano sul cuore e di intervenire con coscienza, intesa questa ultima quale luogo della verità detta a se stesso senza considerazione di alcun interesse dove la coscienza è propria perché è quella di tutte le persone oneste e corrette”.
L’emergenza sarebbe quindi finita. Non è più tempo di restrizioni per i mafiosi. Come a dire: il vostro tempo lo avete avuto, adesso basta, tutto deve tornare come prima.
Ferme le reazioni degli organi istituzionali. “La protesta non ci condizionerà” ha affermato il presidente della Commissione antimafia Roberto Centaro. “Il 41 bis va bene così”, ha ribadito con decisione il Ministro Castelli.
Ma a Cosa Nostra non si può dire soltanto no. La parola è passata quindi a un pezzo da novanta.
Per la prima volta da quando è detenuto (1995), Leoluca Bagarella, in persona, durante un’udienza a Trapani, ha rotto il silenzio leggendo addirittura una sorta di proclama, ma chiedendo al Presidente della Corte il permesso per informare di una petizione in corso nel carcere dell’Aquila dove sta scontando la pena dell’ergastolo in regime di 41 bis.
“Stanchi di essere strumentalizzati, umiliati, vessati e usati come merce di scambio dalle varie forze politiche, … abbiamo iniziato una protesta civile e pacifica … . Tutto ciò cesserà nel momento in cui le autorità preposte in modo attento e serio dedicheranno una più approfondita attenzione alle problematiche che questo regime carcerario impone e che più volte sono state esposte le quali, da 10 anni, affliggono i familiari … da una parte scontano colpe che non hanno e noi sottoposti a tale regime. I medesimi lamentano il modo in cui il Ministro della Giustizia proroga di sei mesi in sei mesi il regime particolare del 41 bis. Queste sono le fotocopie dei presidenti e quindi da questa sola asserzione discende chiaramente che la prorog di sei mesi a sei mesi è un modo come aggirare la legge secondo la quale i provvedimenti limitativi del trattamento penitenziario non possono che essere temporali…” E continua Bagarella snocciolando dottamente sentenze di cassazione interpretate a suo favore.
Poi si ferma e chiede di nuovo al Presidente di poter aggiungere qualcosa.
“Siccome in questi giorni i giornali hanno parlato ‘Ascoli Piceno, ha iniziato Riina a fare lo sciopero della fame…’”
Il Pubblico Ministero Piscitello non gli concede di andare oltre e queste sono state le sue ultime parole, per Riina, suo cognato e suo capo, da sempre.
Nella confusione del momento, però, con sovrapposizione di voci, ancora una protesta: “allora ai politici che ci raccontate, che cosa ci raccontano i giornalisti, che ci raccontano…”
I pm in prima linea, a cominciare dal Procuratore Nazionale Piero Luigi Vigna, non hanno nascosto la loro preoccupazione. Antonio Ingroia, sostituto procuratore a Palermo, lancia l’allarme più inquietante  “I politici sono sotto ricatto dei boss, il rischio ora è un altro delitto Lima”.
E spiega: “Questa stagione assomiglia tanto a quella fine dell’inverno di dieci anni fa, al febbraio del 1992. E poi l’uomo del proclama non è uno qualunque. Leoluca Bagarella non appartiene certo a gente che parla a vanvera. E’ un protagonista di quella stagione quando è partito l’attacco di Cosa Nostra contro certi uomini politici che avevano promesso tanto e mantenuto niente. A Salvo Lima e a Ignazio Salvo i boss presentarono il conto”.
Tornano alla mente allora quelle intercettazioni ambientali dell’estate del 1992 in cui Provenzano avrebbe detto “Non è che mi posso mettere contro di loro”, mentre spiegava la sua strategia più pacifica durante una riunione di mafia, alludendo chiaramente a Riina e Bagarella.
Quindi è ancora un capo quello che ha parlato e ha parlato anche da parte di Riina.
Ha lanciato il suo segnale e i destinatari possono essere molteplici: sicuramente referenti al potere a cui ha ricordato gli eventuali accordi e Provenzano e gli altri là fuori affinché si attivino perché la sopportazione è al limite.
Una interessante chiave di lettura ci viene da un altro pm, Alfonso Sabella, che condusse personalmente le indagini che portarono all’arresto di Bagarella.
“Dentro le carceri la mafia si è divisa in due anime, una più moderata, l’altra, corleonese, più diretta. Hanno atteso, pazienti, sviluppi legislativi sul 41 bis, ora, evidentemente, hanno deciso di uscire allo scoperto con messaggi al limite delle minacce. E l’ala corleonese conduce le operazioni. Cosa Nostra vive un momento di forte tensione interna. La frattura tra quelli che stanno dentro si sta facendo più evidente. I primi fanno affari e stanno alla finestra, i secondi attendono un intervento per alleviare, almeno, i propri problemi. Una dialettica interna che può essersi manifestata in alcuni segnali precisi, penso alle soffiate mirate che hanno consentito l’arresto di due boss eccellenti (Giuffrè e Balsano ndr.). Se questa dialettica degenera, si può tornare ad una stagione di sangue. In questa vicenda lo Stato deve mostrare il massimo della fermezza sostanziale”.
Riassumendo: chi è dentro sta facendo pressione su chi è fuori affinché faccia a sua volta pressione su chi decide.
Sabella avverte: “Attenzione al disegno di legge sul 41 bis perché così come concepito rischia di diventare incostituzionale al primo ricorso. Infatti è un progetto che ricalca i vecchi decreti della legge di proroga, e quindi mancano i criteri della specificità e della temporaneità da sempre richiesti alla Consulta”.
Eccoci di nuovo in tema di papello e di trattativa.

E’ dell’ultim’ora la risposta del Preesidente del Consiglio in merito alle contestazioni dei mafiosi “Questo è il primo governo che ha decretato che il 41 bis valga per tutta la propria durata in carica. Credo che sia una persa di posizione molto chiaram molto esplicita circa l’intendimento di questo Governo di condurre una certa lotta alle organizzazioni criminali, in modo che uno che appartenga a queste organizzazioni non possa trasportare il suo potere anche in carcere, in modo da avere una posizione di privilegio”. I boss intanto si sono dichiarati soddisfatti del dibattito creato e hanno sospseso lo sciopero. Il messaggio è passato.

ANTIMAFIADuemila N°24 luglio-agosto 2002

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