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Ma Berlusconi e Dell’Utri non sono i mandanti delle stragi. Il decreto di archiviazione
di Anna Petrozzi


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«Nessuna forza politica poteva avere interessi stragisti».
Con queste poche, ma lapidarie parole il neo procuratore capo di Caltanissetta Francesco Messineo ha stroncato le ipotesi di ricerca dei mandanti esterni in ambito politico.
Una posizione ovviamente avallata dalla recente archiviazione delle indagini su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri indiziati di avere concorso con Cosa Nostra alla pianificazione delle stragi del ‘92 in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
«Gli spunti indiziari, per quanto numerosi, - scrive il Gip Giovanbattista Tona - risultano incerti e frammentari, pertanto inidonei a legittimare l’esercizio dell’azione penale».
Tuttavia gli elementi emersi e posti in rilievo nella motivazione di archiviazione sono di sicuro meritevoli di approfondimento.
Dalle motivazioni delle sentenze per le due stragi in causa il gip ricostruisce la cosiddetta strategia stragista messa in atto dai vertici di Cosa Nostra al fine di creare nuovi agganci politici dopo essere stati «traditi» dai tradizionali referenti poiché, ai loro occhi, si era determinata un’inedita e inammissibile saldatura tra i nemici (Falcone e Borsellino) e gli ex amici (tali consideravano Andreotti e la sua corrente, Martelli ed altri esponenti del PSI).
A Cosa Nostra dunque servivano garanzie, questo sarebbe stato lo scopo, sempre secondo il giudice Tona, per cui si era dato avvio alla «trattativa» o meglio alle diverse trattative che i risultati processuali hanno consentito di individuare.
«...quella che coinvolgeva Bellini, quella che vide protagonisti gli ufficiali del ROS, quella cui alludeva Riina quando disse a Brusca ‘si sono fatti sotto’».
Questa ricerca di nuovi referenti trova una sua conferma nell’attiva partecipazione dell’organizzazione alla creazione di movimenti di carattere separatista come «Sicilia Libera», proprio per evitare, secondo quanto riferito dai collaboratori di giustizia, di dover in qualche modo «dipendere» dai politici.
Il pg poi si sofferma sulla «accelerazione» che portò alla strage di via D’Amelio ritenendo le possibili motivazioni ancora oscure, in quanto tale metodologia non era usuale alla tattica di Cosa Nostra che infatti stava programmando altri attentati che però poi vennero sospesi.
Ed è proprio a cavallo tra le due stragi che si sarebbero svolte le trattative ed è per questo che le indagini hanno seguito la pista dei possibili mandanti esterni alla mafia per i cui interessi i due magistrati rappresentavano un pericolo. Tanto più che erano in procinto di rivestire cariche istituzionali importantissime che avrebbero finalmente dato loro la concreta possibilità di investigare in tutte le direzioni.
Gli fu impedito con il fragore del tritolo.
Tra le varie ipotesi prese in esame dal gip anche quella che «dai comportamenti di alcuni soggetti esterni all’organizzazione, protagonisti delle trattative, gli uomini di Cosa Nostra abbiano tratto l’erroneo convincimento della necessità di realizzare attentati ancor più eclatanti».
Si potrebbe fare maggiore chiarezza su questo punto - prosegue il giudice - « se fosse possibile identificare con certezza le trattative del Gen. Mori e del Magg. De Donno con quelle cui alludeva Riina».
Sebbene non sia stato possibile provare il nesso tra le stragi e i due onorevoli indagati, il gip scrive «gli atti del fascicolo hanno ampiamente dimostrato la sussistenza di varie possibilità di contatto tra uomini appartenenti a Cosa Nostra ed esponenti e gruppi societari controllati in vario modo dagli indagati. Ciò di per sé legittima l’ipotesi che, in considerazione del prestigio di Berlusconi e Dell’Utri, essi possano essere stati individuati dagli uomini dell’organizzazione quali eventuali nuovi interlocutori». Rileva inoltre che «tali accertati rapporti di società facenti capo al gruppo Fininvest con personaggi in varia posizione collegati all’organizzazione Cosa Nostra, costituiscono dati oggettivi che - in uno agli altri elementi relativi ai contatti e alle frequentazioni di Dell’Utri con esponenti della stessa cosca - rendono quanto meno non del tutto implausibili né peregrine le ricostruzioni offerte dai vari collaboratori di giustizia, esaminate nel presente procedimento in base alle dichiarazioni dei quali si è ricavato che gli odierni indagati erano considerati facilmente contattabili dal gruppo criminale; vi è insomma da ritenere che tali rapporti di affari con soggetti legati all’organizzazione abbiamo quantomeno legittimato agli occhi degli «uomini d’onore» l’idea che Berlusconi e Dell’Utri potessero divenire interlocutori privilegiati di Cosa Nostra».
Si inserisce infatti in questa ottica la testimonianza di Ezio Cartotto, giornalista e «personaggio che ha operato  per conto degli odierni indagati concorrendo alla formazione del movimento politico ‘Forza Italia’», che ha riferito che tra maggio e giugno del 1992 «era stato contattato da Marcello Dell’Utri, il quale lo mise a parte di un suo progetto politico; egli riteneva che, di fronte al venir meno dei referenti politici del gruppo FININVEST, era necessario adoperarsi per evitare un’affermazione delle sinistre che avrebbero certamente creato gravi difficoltà per questo gruppo. Poiché tale sua idea non era condivisa all’interno della FININVEST, Dell’Utri lo invitò ad ‘operare come sotto il servizio militare e cioè a preparare i piani, chiuderli in un cassetto e ritirarli fuori in caso di necessità’».
Tale attività, prosegue il giudice, se nota, avrebbe certamente suscitato l’interesse dell’organizzazione criminale.
Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia tese a confermare tale ipotesi sono tutte «de relato» valutate come «generiche e incerte nei contenuti».
In modo particolare i due pentiti più importanti perché a conoscenza di dati più specifici, Salvatore Cancemi e Giovanni Brusca, non hanno convinto il gip Tona.
Egli infatti ha giudicato «le progressive e anguillose propalazioni di Cancemi» come «viziate dalla sua costante propensione a ridimensionare il proprio ruolo nei reati contestatigli; dopo aver fatto riferimento alle notizie apprese da Ganci su ‘persone importanti’ contattate da Riina, egli ha poi finalmente ammesso di aver partecipato a  riunioni deliberative e in questo contesto ha detto che sentì parlare Riina di Berlusconi e Dell’Utri. Non ha spiegato nulla del tipo di accordo che con loro sarebbe intervenuto e di quale poteva essere l’interesse di costoro alle stragi per cui si procede».
Dure anche le considerazioni su Brusca. «Le sue propalazioni in ordine al suo coinvolgimento e alle sue conoscenze circa i contatti politici intrattenuti dall’organizzazione negli anni 1991-1994 sono apparse particolarmente reticenti. E tuttavia, se quanto da lui riferito non vale a dare netta smentita alle dichiarazioni di Cancemi, per altro verso consente di dare ad esse alcun riscontro né di superare la loro genericità».
Nemmeno le ricostruzioni fornite da Angelo Siino, Tullio Cannella, Gioacchino Pennino e Maurizio Avola sono state ritenute attendibili nella loro pienezza, poiché i riscontri di carattere estrinseco non sono stati sufficienti.
In particolare Pennino aveva addirittura appreso da due fonti che Silvio Berlusconi era il mandante delle stragi del ‘93, ma entrambi, il dottore Giuseppe Ciaccio, uomo d’onore di una famiglia dell’agrigentino, di professione radiologo; e Pinuzzo Marsala, uomo d’onore della famiglia di Santa Maria di Gesù sono deceduti.
La friabilità del quadro indiziario - conclude il gip - impone pertanto l’archiviazione del procedimento.
Va ulteriormente evidenziato, tuttavia, che in conclusione del suo elaborato, malgrado la scarsità di elementi, il giudice Tona, in merito alle considerazioni concernenti la Fininvest sopra riportate, ha voluto lasciare al pm «le valutazioni di sua competenza in ordine all’utilità di tali dati per individuare ulteriori piste investigative diverse da quelle sinora perseguite».


ANTIMAFIADuemila N°23 giugno 2002