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Tra le indagini milanesi e palermitane un unico filo conduttore
di Lorenzo Baldo




Maurizio Avola, uomo d'onore della famiglia catanese di Nitto Santapaola e oggi collaboratore di giustizia, sostiene che nel 1992 lei sarebbe dovuto essere vittima di un attentato, favore che Santapaola in persona avrebbe dovuto fare ai politici di allora. Le risulta che in questo complotto fossero coinvolte, oltre a Cosa Nostra, anche persone da lei indagate nell’ambito di Tangentopoli?

Le indagini condotte nel ’92 - come ho avuto modo di riferire in un interrogatorio, durato diverse ore, che ho reso all’autorità giudiziaria di Caltanissetta in pubblica udienza, ma in totale assenza del sistema d’informazione - furono svolte su un doppio fronte. Le faccio un esempio. Immagini una montagna al cui vertice si giunge tramite due distinti versanti: a Milano si investigava sulla corruzione, quindi sul fronte dei rapporti fra politica e affari, a Palerno sulla criminalità organizzata, quindi su quello dei rapporti tra mafia e politica.
L’obiettivo comune di Milano e Palermo era quello di scoprire chi si trovava ai vertici della montagna.
Noi dovevamo confrontarci con due entità, cioè la politica e gli affari. Per i colleghi in Sicilia, invece, fu molto più difficile poiché le entità erano tre: la politica, gli affari ed il "regolatore comune", ossia il mafioso. Per noi ci fu la delegittimazione - come ha ricordato di recente il Procuratore Francesco Saverio Borrelli -, per loro ci furono gli attentati. Indubbiamente per noi è stato molto più facile.
Le inchieste, tuttavia, mostravano un fronte di indagine così comune che, in materia di reati contro la pubblica amministrazione e di corruzione politica, molti atti da Milano sono stati riversati a Palermo. E’ chiaro, quindi, che poteva esserci un interesse a spostare l’attenzione dopo Palermo anche a Milano.
Quarantotto ore prima dell'attentato di via D'Amelio, le autorità investigative ricevettero la segnalazione che io e Borsellino dovevamo essere ammazzati.

Chi si trovava in "cima alla montagna"?

Quelli che noi chiamavamo «coloro che la girano ma non la toccano». Intendo dire che quando si fanno affari non legali ci sono più livelli di coinvolgimento: ce n’è uno in cui ci si sporca le mani e un altro in cui, invece, le mani non si sporcano. Sono "reati non reati", si traggono tutti i benefici e i vantaggi senza lasciar traccia, si controlla il territorio e si gestisce il mercato del voto, insomma... la trasparenza nella gestione dell'affare pubblico non c'era allora come credo proprio non ci sia oggi.

Dietro alla strategia stragista con cui sono stati eliminati amici e nemici di Cosa Nostra, da Salvo Lima a Giovanni Falcone, agiva solo la mafia o anche i cosiddetti poteri forti deviati?

Dipende da cosa si intende per mafia. Se ci si riferisce solo a chi compie un determinato crimine che chiamerei "reato mezzo" è un conto, se invece, si tiene conto anche di quello che si può definire "reato fine", ossia tutto ciò che rientra in quell'impalpabile reato-non reato di cui parlavamo pocanzi, è tutta un altra cosa, per cui il sistema mafioso ha l'esigenza di creare una tensione tale da rendere impossibile pervenire alla scoperta della verità.
E' ciò che il pool di Caselli ha dovuto vivere sulla sua pelle. Hanno cercato di andare oltre gli esecutori materiali e si sono imbattuti in un groviglio legislativo con cui si è cercato di depotenziare il sistema delle prove, introducendo poi cavilli e cavillini che hanno portato all'abbondanza di assoluzioni e proscioglimenti ai sensi dell'art. 530 comma 2, ossia l'insufficienza di prova. Io rispetto l'insufficienza di prova, ma questa resta tale così come rimane il dubbio.

Alla luce di questi fatti e considerando che quindi Cosa Nostra, nel suo sistema più complesso, non è affatto finita - oggi Provenzano ha praticamente ricostruito l'organizzazione ridandole forse ancora più forza di quanto non avesse fatto Riina - come legge la situazione attuale?

E' migliore da una parte e peggiore dall’altra: non si commettono più gli omicidi poiché il sistema criminale mafioso non opera più contro lo Stato, ma nello Stato e con lo Stato. Molti pentiti hanno infatti dichiarato che ad un certo punto l’interesse di Cosa Nostra è cambiato. I mafiosi si sono resi conto che era più conveniente affiancare le Istituzioni, lavorarvi all’interno approfittando dei vantaggi che queste possono offrire. Hanno capito che lo scontro continuo con lo Stato era inutile e c’è stata quindi una sorta di "ingegnerizzazione" del fenomeno mafioso che ormai non è più criminale nel senso stretto del termine, cioè non detiene più soltanto il controllo del territorio, ma anche quello degli appalti, degli affari, della finanza, nonché della gestione della cosa pubblica. Un tempo le questioni venivano regolate con le bombe, ora si gestiscono tramite il controllo del mercato del voto. Il fatto è che oggi c’è sì meno spargimento di sangue ma, probabilmente, c’è anche meno forza di reagire.

Gli imprenditori ed i politici che erano stati indagati a Milano erano gli stessi rimasti coinvolti nelle indagini palermitane?
Sicuramente, sì.


ANTIMAFIADuemila N° 21 Aprile 2002