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Cinà, l’uomo giusto al posto giusto
di Giorgio Bongiovanni


In uno dei nostri recenti viaggi a Palermo abbiamo avuto modo di approfondire ulteriormente «il caso Cinà» intervistando direttamente il sostituto procuratore Domenico Gozzo che si è occupato dell’indagine assieme ai colleghi Paci e Teresi.
Antonino Cinà, secondo i magistrati, è l’uomo che insieme a Provenzano e ad altri pochi, ha traghettato la «Cosa Nuova» nel terzo millennio, più potente, più pericolosa e astuta come e più di prima.


Procuratore, vorrei ricostruire la figura di Antonino Cinà, medico di Riina, uomo d’onore della famiglia di San Lorenzo, membro del direttorio della «nuova Cosa Nostra», personaggio chiave nello svolgimento della cosiddetta «trattativa»...
Cinà viene arrestato per la prima volta nel 1993, rimane in stato di detenzione per un anno circa, poi fino al ‘97 continua ad entrare ed uscire dal carcere man mano che si vanno assommando le condanne per diverse imputazioni tra cui, oltre l’associazione di stampo mafioso aggravato e altri reati, vi è l’accusa di estorsione. Infatti, nell’ambito del processo «S.Lorenzo 1», viene ritrovato il suo nome in quello che abbiamo definito «il libro mastro del mandamento», e sebbene i soldi da lui percepiti potrebbero essere indicati come compenso per le sue prestazioni di medico, a nostro avviso, sono da ricollegare alla sua attività di mafioso. La condanna in primo grado a 9 anni e 4 mesi per 416 bis, proprio attinente al periodo posteriore al 1993, è giunta proprio in questi giorni.
Dopo l’arresto di Biondino Salvatore, il mandamento di San Lorenzo passa prima nelle mani di Salvatore Biondo poi di Salvatore Lo Piccolo per poi arrivare in quelle di Cinà che ha tutte le caratteristiche per essere un capo. E’ un mafioso doc., corleonese e, nello stesso tempo, ha le capacità per dialogare con i «colletti bianchi» senza alcuna mediazione. Di sicuro entra nel direttorio nel momento in cui Provenzano prende il potere, dopo la cattura di Riina, ma non possiamo dire se facesse parte della «cupola» anche precedentemente.
Sebbene entrambi corleonesi nel senso «ideologico» del termine, Riina e Provenzano hanno sviluppato diversi interessi e quindi diversi contatti, il primo, sicuramente più orientato al mondo politico, mentre il secondo, in un certo senso, ha coltivato con maggiore attenzione rapporti di un genere «altro»..., diciamo che c’è stato un recupero di quello che era il modo di agire e di pensare della vecchia mafia, quella di Bontade per intenderci.

Cinà potrebbe essere rilasciato per decorrenza dei termini?
Sarebbe opportuno in proposito avanzare una breve riflessione sul tipo di pene che possono essere rogate per il reato di associazione mafiosa. Sono infatti molti a stupirsi che un crimine di tale gravità come quello stabilito dal 416 bis possa essere punito con pene così lievi. In tutti questi anni di indagini ormai sappiamo con certezza che da Cosa Nostra si può uscire solo con la morte o con la collaborazione, quindi tra pochi anni potremo riavere in circolazione un personaggio della pericolosità e dell’ingegnosità di Antonino Cinà.

Tra l’altro il mandamento di San Lorenzo è uno dei più grandi. Cinà e lo Piccolo lo gestivano separatamente o congiuntamente?
Il mandamento di per sè era grandissimo sin dai tempi di Bontade, comprendeva tutta Palermo fino a Cinisi. Per quelle che sono le nostre attuali conoscenze, almeno fino a qualche tempo fa, le redini del mandamento erano a Tommaso Natale anche perché Cinà aveva una situazione giudiziaria piuttosto precaria.

Secondo i risultati delle indagini e dalle testimonianze dei collaboratori di giustizia, Cinà è in tutta probabilità colui che ha messo per iscritto le richieste del famoso «papello», la controparte per la «trattativa», che Riina avrebbe fatto arrivare, sempre tramite il medico, a Ciancimino, il quale l’avrebbe dovuta consegnare al generale Mori.
Solo Ciacimino e Brusca potevano fornirci elementi precisi in questo senso, ma, il primo, non ha mai preso la decisione di collaborare, e il secondo, proprio come sua scelta, non ha mai voluto parlare in base alle sole ricostruzioni, fatti di cui non è assolutamente certo.

Durante le sue deposizioni il collaboratore Salvatore Cancemi ha riferito che durante una delle riunioni tenute dalla Cupola nel periodo delle stragi, Riina aveva estratto dal taschino della giacca un foglietto su cui erano scritte le richieste da avanzare a «coloro che si erano fatti sotto». Addirittura il boss avrebbe chiesto agli altri capimandamento se avevano qualcosa da aggiungere. Si tratta delle stesso «papello» che avrebbe steso Cinà?
Possiamo solo dire che le due cose sembrano collegarsi. E’ certo però che questa «disponibilità» al dialogo da parte delle Istituzioni è stata interpretata dai mafiosi come un segno di debolezza, per cui anche i più critici all’interno dell’organizzazione hanno pensato ‘beh, in fondo lo Stato si sta piegando» e questo, sicuramente, lascia l’amaro in bocca più di tutto.

Senta, si potrebbe pensare che in realtà la trattativa è intercorsa tra Provenzano e le istituzioni e non Riina?
Potrebbe essere un’ipotesi.

Vorrei rivolgere a lei una domanda che mi sono posto molte volte. Perché scegliere proprio la via di Cinà e quindi Palermo, e non per esempio quella di Matteo Messina Denaro che con la massiccia presenza della massoneria deviata nel trapanese avrebbe potuto dialogare più agilmente con i poteri forti?

Il fatto che noi siamo venuti a conoscenza di questa «trattativa» non significa che non ve ne siano state altre. Matteo Messina Denaro è certamente vicino alla strategia stragista di Riina, ma nello stesso tempo è molto probabile che abbia mantenuto un collegamento forte con i poteri nascosti come la massoneria deviata.

Quanto è importante secondo lei per comprendere quello che sta accadendo oggi all’interno della mafia e delle istituzioni risolvere il mistero che aleggia attorno alla trattativa? C’è una possibilità che si riesca a giungere a verità?

Io lo spero, ma ne dubito, poiché ci vorrebbe una volontà comune da parte di tutti coloro che ne sono stati i protagonisti e non so quanto questo sia realizzabile. 


ANTIMAFIADuemila N° 20 Marzo 2002

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