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Non fu solo Cosa Nostra

di Pietro Grasso e Saverio Lodato

Riportiamo fedelmente dal libro la mafia invisibile l’opinione del procuratore di Palermo Pietro Grasso che rispondendo alle domande del giornalista Saverio Lodato arricchisce il quadro di comprensione sulla trattativa e sulle stragi del 1992-1993.

 


Ricorda il commento di Falcone all’uccisione di Salvo Lima?
Falcone era preoccupatissimo. Mi disse: <<Qui adesso cambia tutto. E per capirne di più dobbiamo aspettare l’esito delle prossime elezioni politiche>>. Gli chiesi cosa volesse dire. Con una delle sue consuete metafore mi rispose: <<Non si uccide la gallina che fa le uova d’oro se non ce n’è già pronta un’altra che ne fa di più>>.
Cosa voleva dire esattamente?
Falcone si rese conto che Cosa Nostra disponeva ormai di nuovi punti di riferimento. Si riprometteva un’analisi più approfondita dopo le elezioni politiche.
(…)

Borsellino non era uno sprovveduto. Lei non pensa che, una volta morto Falcone, lo stesso Borsellino possa avere svelato ad altri il <<testamento>> di Falcone?
Con ogni probabilità, l’errore di Borsellino di comunicare ad altri quello che lei definisce il <<testamento>> di Falcone è la causa scatenante della strage di via D’Amelio.

Uno degli episodi più drammatici degli ultimi giorni di vita di Borsellino è rappresentato dall’interrogatorio del pentito Gaspare Mutolo. Era il 1° luglio del 1992. A Roma, nei locali della Dia, Mutolo riesce finalmente a incontrare Paolo Borsellino. Ma l’interrogatorio si interrompe perché il magistrato riceve una telefonata che lo invita a recarsi al Viminale. Al suo rientro Borsellino – riferisce Mutolo – era sconvolto. Non è mai stato possibile identificare la persona che Borsellino incontrò durante la sospensione di quell’interrogatorio. Trova normale che ancora oggi l’episodio non sia stato chiarito?

E’ un altro dei grandi misteri italiani. Permane un buco nelle indagini sulla strage di via D’Amelio.

La strage di via D’Amelio pareggiava i conti anche con un altro nemico dell’organizzazione o aveva una finalità preventiva, visto che Borsellino nel frattempo aveva acquisito nuove informazioni?
Borsellino rappresentava un bersaglio per Cosa Nostra, ma certamente la sua uccisione non era prevista in tempi così brevi.

Cosa determinò l’accelerazione del programma criminale?
Probabilmente la coincidenza di interessi fra Cosa Nostra e gli ambienti che si preoccupavano di finire nel mirino delle indagini di Borsellino.

A indagare su queste stragi – ovviamente – è stata sempre la procura di Caltanissetta. Le indagini sui mandanti esterni alla strage di via D’Amelio, come d’altronde su quella di Capaci, sono aperte ancora oggi. In questi nove anni gli esecutori e i mandanti mafiosi invece sono stati condannati. Se il discorso sui mandanti esterni resta ancora aperto, ciò significa che i suoi colleghi di Caltanissetta condividono le sue deduzioni?
Tanti anni di indagine non hanno permesso di scrivere la parola fine su questo mistero. Riusciamo ad avvertirne la presenza. Ma dare un volto a questi signori fino a oggi è stato difficile. Forse certe verità hanno bisogno di tempi molto lunghi.

Siamo arrivati così a un tema incandescente. La trattativa che sarebbe stata avviata fra Cosa Nostra e uomini delle istituzioni. Il <<papello>>, l’elenco di richieste che Totò Riina avrebbe presentato a <<entità esterne>> per far cessare lo stragismo in Sicilia.
Prima di affrontare questo argomento voglio precisare tre cose. Il <<papello>> non è mai stato trovato. Totò Riina non ha mai parlato, meno che mai su questo argomento. Gli uomini delle istituzioni che avrebbero avviato la trattativa restano ignoti. Ma è innegabile che il tema si è ormai imposto all’attenzione degli investigatori. Anni di indagine sulle due stragi ancora oggi ci consentono solo di avanzare ipotesi.

Ammesso che la trattativa ci sia stata, dove la collocherebbe cronologicamente?  Prima della strage di Capaci? Fra la strage di Capaci e via D’Amelio? O a stragi avvenute?

Giovanni Brusca riferisce di un colloquio con Totò Riina nel quale il capo di Cosa nostra gli comunicò: <<Si sono fatti sotto>>, riferendosi a uomini delle istituzioni che avrebbero aperto un canale dopo la strage di Capaci. Se prendiamo per buona questa versione dei fatti, ciò significherebbe che Falcone fu ucciso solo per mano di Cosa Nostra. E che la trattativa avrebbe avuto inizio solo dopo. Ma Brusca potrebbe conoscere solo una parte della verità

Brusca è l’unico ad avere parlato di trattativa?
No. C’è un altro collaboratore di giustizia, Salvatore Cancemi, che ai miei colleghi di Caltanissetta descrisse uno scenario analogo. Tornando da una riunione preparatoria della strage, Raffaele Ganci, capomandamento del quartiere Noce, gli aveva confidato che Riina aveva avuto contatti con persone <<importanti>>. Si riferiva proprio a persone esterne a Cosa Nostra, rappresentanti delle istituzioni, che avevano manifestato il loro consenso al progetto di uccidere Falcone. Se prendiamo per buona la versione di Cancemi, saremmo addirittura in presenza di una trattativa antecedente, di cui la strage di Capaci era parte essenziale.

Le due versioni non sono contrastanti?
Apparentemente. Entrambi i collaboratori potrebbero essere venuti a conoscenza di due fasi diverse della stessa trattativa. Cancemi parlerebbe dei preliminari. Brusca del momento in cui si trattava ormai di avanzare e vedere esaudite le proprie richieste.

C’è qualcuno in grado di raccontare tutta la verità sui retroscena della morte di Falcone?

Totò Riina certamente è uno di questi. Dovrebbe saperne qualcosa Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella. Mi spingo a fare questi nomi perché solo il vertice corleonese di Cosa nostra poteva essere depositario di segreti così compromettenti.

E’ da escludere che qualcuno dei mafiosi parli?
I boss di vecchio stampo preferiscono morire in carcere piuttosto che <<infangare>>se stessi e i loro discendenti. La speranza è che parlino le persone <<importanti>>, se ve ne furono…

Concretamente, quali richieste potrebbero essere contenute nel <<papello>>?
Distinguiamo. Dopo Capaci, le uniche richieste plausibili potevano riguardare la revisione del maxiprocesso, la liberazione dei boss già detenuti e la delegittimazione dei pentiti. Dopo via D’Amelio, invece, a quelle richieste potrebbero essersi aggiunte: l’eliminazione del carcere duro, la chiusura di Pianosa e dell’Asinara, lo smantellamento di tutta la legislazione antimafia che era stata approvata proprio dopo l’uccisione di Borsellino.

Tirate le somme, però, i boss non ebbero grandi risultati. Se no che motivo ci sarebbe stato di organizzare un attentato contro di lei nel settembre del 1992?
E’ stato Gioacchino La Barbera a parlarne per primo. Raccontò di avere fatto alcuni sopralluoghi, insieme ad Antonino Gioè, sotto l’abitazione di mia suocera a Monreale. Una forte carica di esplosivo doveva essere collocata in un tombino, ma le frequenze del sistema d’allarme di una banca avrebbero potuto azionare il telecomando dei mafiosi in un momento non voluto. L’attentato fu rinviato in attesa di condizioni migliori. Giovanni Brusca ha confermato in pieno l’episodio, aggiungendo che Gioè riferì proprio a lui le difficoltà che erano insorte. Mi soffermo su questa storia perché è la dimostrazione che ancora nel settembre 1992 la trattativa con le istituzioni non era arrivata in porto. Tanto da rendersi necessario un altro attentato contro un magistrato.

Perché la ricostruzione sia completa rimane da parlare della sola <<trattativa>> ufficialmente conosciuta. Quella avviata dal generale Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno, del Ros, con il mafioso Vito Ciancimino.
Da quanto è emerso fino a oggi e da quanto hanno dichiarato i diretti interessati, più che di <<trattativa>> si trattò di contatti avviati dal Ros nella speranza di convincere Riina a costituirsi o riuscire a catturarlo.

Un’iniziativa autonoma del Ros?
Così è stata prospettata.

Lei sa che questa è una pagina poco chiara. La Barbera e Brusca parlano di trattative con le istituzioni proprio nell’estate - autunno 1992. Mori e De Donno ammettono di avere aperto canali di comunicazione con Cosa Nostra proprio nello stesso periodo. E’ solo una coincidenza?
La concomitanza temporale c’è. Ma non dimentichiamo che Cosa Nostra è stata sempre in grado di coltivare una pluralità di rapporti esterni. Vorrei ricordare che l’intera vicenda è ancora oggetto di indagini.
(…)
Resta la domanda: perché esportarono il terrore?
La campagna stragista, diffusa sull’intero territorio nazionale, con ogni probabilità non fu opera esclusiva del vertice di Cosa Nostra.

Ovviamente non si può dire di più.
Anche sui mandanti esterni delle stragi del 1993 le indagini sono ancora aperte.

(Fine prima parte)
Tratto da La mafia Invisibile. di Saverio Lodato e Piero Grasso - Mondadori Editore  


 ANTIMAFIADuemila N° 18 Dicembre-Gennaio 2001-2002

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