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di Luca Tescaroli
Dal libro Perché fu Ucciso Giovanni Falcone la trattativa secondo le conclusioni del sostituto procuratore Luca Tescaroli, pubblico ministero, in primo e secondo grado al processo per la strage di Capaci.

«Innanzitutto, quali rapporti intercorrevano tra la trattativa di cui parla il Cancemi e gli incontri intercorsi tra il Riina e le c.c.d.d. persone importanti, in epoca precedente alla c.d. «Strage di Capaci»? E, poi, la trattativa a cui si riferisce il Cancemi è la stessa di cui parlano Brusca, De Donno e Mori? E se si tratta della stessa trattativa come mai il solo Cancemi indica gli interlocutori? Siamo davvero dinanzi a personaggi diversi o ci troviamo di fronte a due facce di una stessa medaglia? Perché detto collaborante, solo nel 1998, rievoca questo rapporto, che colloca tra la «Strage di Capaci» e quella di via Mariano D’Amelio? Una serie di quesiti, la cui risposta non si vuole fornire in questa sede, perché costituisce oggetto di diversi procedimenti penali, volti a verificare se sussistano o meno profili di responsabilità, nei delitti rientranti nella stagione stragista che ci occupa, nei confronti di altri soggetti, in ipotesi, partecipi di un vero e proprio disegno cospirativo.
In ogni caso, si può sottolineare che, astrattamente, si possono formulare, con specifico riferimento alle relazioni rievocate dal Brusca e dal Cancemi, collocate dopo la strage del 23 Maggio 1992, tre ipotesi a livello logico razionale, e segnatamente.
La prima: Cancemi riferisce, nella sostanza, della medesima trattativa con papello di cui ha narrato il Brusca. In questo caso, si deve ritenere che al Cancemi, e agli altri capimandamento, a suo dire, presenti nell’abitazione di Guddo (Biondino e Raffaele Ganci), sia stato prospettato un segmento di verità ulteriore e di completamento rispetto a quanto conosciuto dal Brusca, nel senso che gli appartenenti al R.O.S. avrebbero agito per conto dei personaggi indicati dal Cancemi (se si accetta l’anzidetta, l’ipotesi, non riscontrata, della coincidenza tra i contatti di cui parla Brusca e quelli riferiti dagli appartenenti al R.O.S.) e, quindi, in tale ultima eventualità, o il Ciancimino ha prospettato realmente in questi termini la vicenda al Riina, per il tramite del dott. Cinà, perché questa è stata l’interpretazione che lo stesso ha dato alle parole del Gen. Mori, che millantava di agire per conto di altri soggetti, ben più influenti, nel tentativo di persuaderlo a collaborare (vedi pp. 20 e 162, trascrizione deposizione del 24 gennaio 1998), ovvero, per rendere credibili ai vertici dell’organizzazione i suoi interlocutori, il Ciancimino ha accreditato gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri di aderenze od appoggi, in realtà non esistenti; in astratto potrebbe essere stato, di contro, Riina, consapevole dell’esistenza di contatti e rapporti di natura economica con quegli interlocutori, ad avere ritenuto che i referenti per conto dei quali agivano Mori e De Donno, fossero proprio le persone indicate da Cancemi; e ciò ritenendo vi fosse da parte loro, nell’offensiva d’attacco verso il potere costituito, una coincidenza di interessi nel disegno criminale ordito dal sodalizio, in termini di acquisizione di potere o di propositi di determinare nuovi equilibri politico-istituzionali; le sottofattispecie ipotetiche potrebbero anche, a stretto rigore, continuare, tuttavia non appare opportuno esternarle in questa sede, in quanto non strettamente collegate ai profili di responsabilità dei soggetti imputati.
Non pare concretamente sostenibile la seconda ipotesi principale: Cancemi fa riferimento ad un vincolo relazionale diverso ed ulteriore intercorso e coltivato dal Riina rispetto a quello riferito dal Brusca e dagli Ufficiali del R.O.S.
Questa ipotesi non appare, invero, nemmeno astrattamente sostenibile, posto che gli aspetti peculiari del racconto del Brusca, come ad esempio quello della correlazione della trattativa con il progetto politico imprenditoriale volto a sostituire l’Impresem con l’impresa Reale, appaiono il frutto, allo stato, di mere intuizioni, e che v’è coincidenza nell’oggetto delle richieste di cui fanno menzione i due dichiaranti.
Da ultimo, può essere formulata una terza ipotesi: Cancemi e Brusca riferiscono della medesima trattativa con papello, che rappresenta una realtà fenomenica diversa, rispetto a quanto dichiarato da Mori – De Donno; posto che l’organizzazione ha mostrato di coltivare altre trattative nell’arco temporale caratterizzato dall’attuazione del progetto stragista, ed in particolare, i rapporti Gioè – Bellini concernenti la trattativa o l’ipotesi di trattativa, che prevedeva, nella sostanza, una cessione di opere d’arte (quadri) oggetto di furto e recuperate da parte dell’organizzazione, a fronte di trattamenti carcerari migliorativi, come arresti domiciliari od ospedalieri, per alcuni uomini d’onore e, segnatamente, per i seguenti capimandamento detenuti: Giacomo Giuseppe Gambino, Luciano Liggio, Giuseppe Calò e Bernardo Brusca, nonché per Giovanni Battista Pullarà. Un vincolo relazionale, quest’ultimo, che il Bellini aveva promosso; che faceva capo, come ha ricordato il Brusca, sempre al Generale Mario Mori; che si era sviluppato a cavallo tra l’assassinio dell’On.le Lima e la c.d. “Strage di Capaci”.
In ogni caso, a prescindere dalla verifica investigativa, tutt’ora in corso, nell’ambito di separato procedimento penale, per individuare quale, fra le ipotesi surriportate, sia aderente al vero e concretamente riscontrabile, e dai possibili profili di responsabilità penale del Bellni, possiamo affermare, con assoluta certezza, che il disegno criminale nel suo complesso, e la strage del 23 maggio 1992, in particolare, si è mosso correlativamente al procedere di trattative volte ad incidere sui poteri politici ed istituzionali, e sull’azione degli stessi, per ottenere vantaggi per gli adepti dell’accolita.

(Fine prima parte)

 ANTIMAFIADuemila N° 18 Dicembre-Gennaio 2001-2002

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