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Il procuratore Sabella avverte: Tenete d’occhio Biondino
di Giorgio Bongiovanni



Esce di scena, Alfonso Sabella, dopo aver lanciato l’allarme sui tentativi di alcuni boss sottoposti al carcere duro di organizzarsi per ottenere una legge sulla dissociazione, sconti di pena e alleggerimenti del regime carcerario. Silurato dal ministro della Giustizia Roberto Castelli, l’ex pubblico ministero antimafia a Palermo e braccio destro di Giancarlo Caselli quando questi era direttore del Dap, ha inviato al Csm una lettera nella quale definisce illegittimo il provvedimento con cui l’attuale direttore del Dap Giovanni Tinebra ha soppresso l’Ufficio centrale dell’Ispettorato del quale egli era responsabile e chiede di essere riammesso al CSM. Nella lettera il magistrato illustra, oltre ad una serie di proposte precedentemente formulate per l’ottimizzazione degli istituti carcerari, le preoccupanti suddette intenzioni dei boss da lui dedotte in seguito ad alcuni episodi verificatisi nell’ultimo mese (proprio nello stesso periodo in cui è stato soppresso il suo Ufficio). Il primo tra questi è riferito alla richiesta del detenuto Salvatore Biondino - ex capomandamento di San Lorenzo, legatissimo a Totò Riina - di svolgere il lavoro di scopino all’interno della sezione del carcere di Rebibbia dove è rinchiuso. In questo modo avrebbe circolato più liberamente all’interno dell’istituto penitenziario nel quale sono reclusi i boss Pietro Aglieri, Giuseppe Madonia, Salvatore Buscemi e Giuseppe Farinella. Questi, insieme a Pippo Calò, solo un anno e mezzo fa, si rivolsero al procuratore nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna per concordare una loro eventuale dissociazione (poi non concessa), con la quale avrebbero ammesso le loro colpe senza accusare altri, senza quindi diventare collaboratori di giustizia. Tutto ciò in cambio di benefici carcerari. “Mi era pure giunta notizia – scrive il magistrato – che il noto esponente della ‘ndrangheta calabrese, Salvatore Imerti, anche questi ristretto presso la Casa Circondariale di Rebibbia e sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis … aveva manifestato la sua volontà di dissociarsi dall’associazione criminale di stampo mafioso di cui è uno degli esponenti di vertice”. Nella lettera Sabella ricorda inoltre la notizia pubblicata il 6 febbraio 2001 dal quotidiano La Repubblica in merito alle richieste di dissociazione dei boss e riferisce che in quell’occasione il giornale romano aveva indicato proprio il Biondino come “l’uomo incaricato dal vertice mafioso di stabilire i contatti con altri appartenenti ad analoghe realtà associative criminali e con lo stesso Stato”. Aggiunge poi che il Direttore dell’Ufficio Detenuti non solo aveva condiviso appieno le sue preoccupazioni ma aveva segnalato elementi a lui sconosciuti quali il fatto che il Biondino e l’Imerti occupavano la medesima cella. In ultimo Sabella richiama alla memoria il fatto, risalente al 9 dicembre, di una siringa rinvenuta all’interno di un pacchetto di patatine in un supermercato palermitano e “anche se potrebbe essere circostanza del tutto estranea”, dice, siffatto episodio “mi ha fatto tornare alla mente la strategia che, nei primi mesi del 1993, all’indomani della cattura di Salvatore Riina, un gruppo di capi mandamento di Cosa Nostra, tra cui l’ancora latitante Bernardo Provenzano, volevano perseguire per ‘trattare con lo Stato’”.
In merito a quanto accaduto e alla suddetta trattativa lo scorso 9 gennaio abbiamo rivolto al dott. Sabella alcune domande.

Dottor Sabella, la notizia che Salvatore Biondino abbia avanzato richiesta per svolgere il mestiere di «scopino» all’interno del suo braccio di detenzione ci sembra francamente incredibile. Cosa c’è dietro?
Appare ridicolo solo per chi conosce Salvatore Biondino. Per chi pensa, invece, che fosse solo l’autista di Riina è plausibile. In realtà stiamo parlando del numero due di Cosa Nostra, senza esagerare. Per la posizione che occupava vicino a Riina e perché, al momento dell’arresto, era il capomandamento di San Lorenzo e reggeva anche Resuttana, visto che i Madonia sono tutti in carcere. Era pressoché sconosciuto e quasi incensurato, tanto che Di Maggio lo aveva indicato come un certo Biondolillo. Quindi, quando un personaggio del suo rango chiede di andare a passare la scopa nella sezione dove sono incarcerati soggetti gerarchicamente molto inferiori a lui, gente che non aveva nemmeno l’autorizzazione a rivolgergli la parola, è urgente scoprire il perché. La motivazione non possono essere nemmeno i soldi, considerato che i mandamenti sotto il suo controllo sono tra i più ricchi. Allora ho voluto indagare per scoprire se questo potesse avere a che fare con la sua richiesta di dissociazione. E infatti è emerso che anche Antonino Imerti, un boss della ‘ndrangheta che condivideva la cella con Biondino, aveva dichiarato di volersi dissociare per poter usufruire degli stessi benefici di cui avevano goduto i terroristi.
Esercitare la mansione di «scopino», poi, gli dava possibilità di maggior movimento e di avvicinarsi a personaggi come Pietro Aglieri, Giuseppe «Piddu» Madonia, Giuseppe Buscemi e Giuseppe Farinella, guarda  caso, gli stessi che hanno prospettato la possibilità di sciogliere il vincolo associativo assieme a Pippo Calò.

Sicuramente hanno avuto l’approvazione di Provenzano.
Questa ipotesi, che ho proposto io stesso, ha effettivamente fondamento. Infatti, in un’intercettazione telefonica del luglio ‘96, Carlo Greco, personaggio vicinissimo a Provenzano, suggeriva che i detenuti si dissociassero in modo da «risolvere i propri problemi» senza «rovinare i padri di famiglia». Il problema del Provenzano, infatti, è quello di risanare la frattura esistente tra chi è dentro e chi è fuori. Abbandonare i carcerati è pregiudizievole su due profili: il primo è che alcuni detenuti ancora godono di un certo prestigio, il secondo è che questi si possano in qualche modo vendicare.

Potrebbe pentirsi qualcuno?
In questo momento sarebbero più pericolose le soffiate. Non credo possibili pentimenti.

Secondo lei anche da dissociati potrebbero fare parte di Cosa Nostra?
Certo. Faranno sempre parte di Cosa Nostra e continueranno anche a prendere i soldi. Il difficile è provarlo, però.
Del resto, ormai, Cosa Nostra non è più un’organizzazione segreta e il fatto che questi si dissocino non accusando nessuno, non crea alcun danno all’organizzazione. Per di più, in questo modo, il 41 bis si rivela inutile, perché se la finalità è di recidere ogni collegamento con l’esterno, in via teorica, uno che ha rinnegato il suo passato viene automaticamente eliminato dai contatti con il resto dell’organizzazione. Ovviamente non credo a questo teorema, però come posso poi dimostrare che non è cosi? Bisognerebbe poi investire molto denaro per effettuare accertamenti di questo tipo.

Come si può inserire la «dissociazione» all’interno della trattativa?
Innanzitutto va precisato che di «trattativa» e «papello» parlano solo i mafiosi, nessuno degli esponenti istituzionali coinvolti in questi «colloqui» ha mai fatto riferimento ad un elenco di richieste. Però vediamo cosa c’era in questa lista. Per prima cosa la revisione del maxi processo, importantissima per Riina, perché era la prima condanna definitiva all’ergastolo, quindi l’abolizione del carcere a vita, l’introduzione di benefici carcerari e una legge sui pentiti che limitasse il danno delle collaborazioni. Per quanto riguarda specificamente il 41 bis, il carcere duro, non sappiamo se la richiesta fosse così esplicita, perché il dispositivo è stato applicato solo dopo la strage Borsellino e se il papello risale a prima della morte del giudice, i conti non tornano. Comunque esisteva l’art. 90 che prevedeva norme più dure per i mafiosi. 
Oggi, chiaramente, la revisione del maxi non servirebbe più perché chi ha avuto la condanna per associazione mafiosa, l’ha scontata, chi aveva preso l’ergastolo, ora ne ha altri, quindi non uscirebbe comunque. La dissociazione oggi è un po’ come una revisione del maxi personalizzata, è l’unica strada rimasta per alleviare la vita carceraria, e per Cosa Nostra, quindi per Provenzano, sarebbe la soluzione ottimale.

Da questo punto di vista, quindi, lei sta dicendo che la trattativa può andare in porto?
Credo che può andare in porto. Ogni tanto rimbalzano voci sulla imminente cattura di Provenzano, ora si profila persino la possibilità che si consegni perché è molto malato, e in questo momento potrebbe anche essere. Proviamo ad ipotizzare lo scenario: Provenzano è vecchio e stanco. Si farà due o tre mesi di carcere e non di più e poi arriverà la notizia che lo riterrà incompatibile con la detenzione. Del resto era latitante e si è costituito, quindi il pericolo di fuga è completamente scemato. E, comunque, nella peggiore delle ipotesi finirebbe agli arresti ospedalieri. Provenzano è lo specchietto per le allodole della mafia e se lui si costituisse, tutti gli altri finirebbero con il dissociarsi. Lo Stato avrebbe vinto. Pensi poi ai più giovani e spietati come Giuseppe Graviano e Nino Madonia che mirano ad uscire dal carcere e se si comportano bene, potremmo perfino ritrovarceli per strada. Anche per gli ergastolani esistono benefici. Un’eventualità del genere sarebbe spaventosa per il Paese.

Quindi secondo lei con Provenzano finirebbe anche la mafia?
No. Scomparirebbe. Potremmo dire che Cosa Nostra è sparita, che l’emergenza mafia non esiste più e allora smantelliamo quel poco che ormai è rimasto perché tanto non ha più senso e non investiamo più.
Vorrei precisare però che io non ho elementi per sostenere che Provenzano stia trattando con lo Stato. Sono sicurissimo che Cosa Nostra stia cercando di interloquire con le Istituzioni, ma che dall’altra parte ci sia una qualche risposta a questa richiesta, io spero di no.

Ma Cosa Nostra non è costituita da stupidi, se vuole trattare, vuol dire che ha trovato qualche possibilità di farlo.

E’ chiaro, il primo momento di ogni trattativa passa per l’individuazione del canale funzionale ad essa. Se questo sia stato già trovato, io non lo so.

Senta, ci può spiegare brevemente come è avvenuta la soppressione del suo ufficio e l’eventuale connessione con le sue indagini su Biondino e la dissociazione?
Io non posso che parlare di una coincidenza cronologica tra i due fatti.
Quando ho individuato il pericolo che alcuni detenuti al regime del 41 bis potessero comunicare tra di loro, ho ritenuto di doverlo riferire al personale qualificato e il direttore dell’Ufficio Detenuti ha condiviso la fondatezza della mia preoccupazione. Del resto io ero a capo dell’Ufficio Ispettorato e il mio compito era di monitorare le situazioni ritenute a rischio, per cui ero proprio la persona competente sotto questo profilo.

Ha avuto modo di incontrarsi con il dottor Tinebra?

No, lui non ha chiesto di parlarmi né, io, ovviamente l’ho cercato. Infatti, credo che quantomeno l’etica del magistrato volesse che mi avvisasse un attimo prima della notifica formale.

Lei dipende direttamente dal Ministero di Giustizia?

Ancora per qualche giorno, poiché sono a disposizione del Consiglio Superiore della Magistratura che mi assegnerà una nuova sede e andrò via...


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