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grassi-libero3di Aaron Pettinari
“Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere... Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui". Era il 10 gennaio 1991. Con queste parole Libero Grassi, industriale tessile proprietario della Sigma di Palermo, ha denunciato pubblicamente, sul Giornale di Sicilia, il dramma che stava vivendo, opponendosi al racket del pizzo. Una prima “pietra” divenuta poi simbolo della lotta imprenditoriale contro Cosa nostra soltanto con la sua morte, il 29 agosto di 24 anni fa. Due killer, Salvatore Madonia, rampollo di una potentissima famiglia mafiosa palermitana, e Marco Favaloro, poi pentito, si presentarono sotto casa sua in via Alfieri. Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi, Madonia, e gli sparò nella maniera più vile, colpendolo alle spalle.

Libero Grassi ha pagato con la vita il prezzo del suo coraggio per essere andato contro tutto e contro tutti in un tempo dove il pensiero di ribellarsi al sistema tra commercianti ed imprenditori era quasi impensabile.
Erano i tempi in cui il giudice di Catania, Luigi Russo, aveva stabilito in una sentenza che acquisire la “protezione” dei boss non era reato, e dove il presidente degli industriali di Palermo, Salvatore Cozzo, rispondeva proprio a Grassi alla radio che “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
E' così che Libero Grassi andò controcorrente ed in quella lotta fu lasciato solo, nell'indifferenza ed il fastidio di tanti suoi colleghi imprenditori, tanto che Cosa nostra fu libera di colpire.
Da quel 29 agosto però, il coraggio di Libero Grassi divenne simbolo di una lotta che non si è ancora esaurita se si considera che ancora oggi, al sud come al nord Italia, c'è chi paga il pizzo alle mafie. “Mi hanno chiamato Libero in memoria di un uomo che per la libertà è morto”, amava dire, raccontando che i genitori, dandogli quel nome, avevano voluto onorare il sacrificio e il coraggio di Giacomo Matteotti. E dopo tanti anni di silenzi oggi si respira un vento nuovo rispetto a quegli anni di omertà grazie all'impegno quotidiano di associazioni come Addio Pizzo e Libero Futuro che ne onorano la memoria di Libero Grassi. Un altro esempio è dato da tutti quegli imprenditori divenuti testimoni di giustizia come, per citarne alcuni, Ignazio Cutrò, Pino Masciari o Valeria Grasso. Imprenditori che hanno scelto di schierarsi apertamente anche pagando il caro prezzo dell'allontanamento del proprio territorio. E' a loro che lo Stato dovrebbe dare il proprio sostegno. Nei giorni scorsi proprio Cutrò, presidente dell'Associazione Nazionale dei testimoni di giustizia ha denunciato con forza: "I testimoni di giustizia sembra diano quasi fastidio siamo protetti 'alla carlona', e, pur ringraziando lo sforzo che fanno le forze dell'ordine, posso dire che la protezione nostra personale e nelle nostre case è scarsa. Da tempo ho dovuto chiudere la mia attività e sono ridotto alla miseria. Mentre un testimone di giustizia in località protetta riceve un mensile, chi rimane in località d'origine non ottiene nulla. Ma come faccio a mantenere me stesso e la mia famiglia? - ha concluso il testimone di giustizia Cutrò -  Mi sento tradito e abbandonato". E' qui che si snoda la nuova lotta. Del resto il modo migliore per rendere viva la memoria del sacrificio di Libero Grassi e del suo insegnamento è fare ognuno la propria parte di cittadino libero, affermando la legalità e difendendo i propri diritti e doveri.

ANTIMAFIADuemila
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