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di Aaron Pettinari e Savino Percoco - 28 aprile 2015

Ingroia: “Se fossero state rese pubbliche le telefonate Mancino-Napolitano il Presidente forse avrebbe dovuto dimettersi”
“Deve essere la politica a doversi riappropriare della sua essenziale funzione di prima linea nel contrasto, nel rifiuto e nella denuncia di ogni forma contiguità con la mafia e questo a prescindere di eventuali inchieste penali. Una politica che agisca coinvolgendo e non attaccando la magistratura che spesso è lasciata sola nel contrastare la criminalità organizzata”. Da queste parole il pm Nino Di Matteo, è partito ieri mattina nel suo intervento presso la Sala Conferenze del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, alla conferenza “Mafia, economia e corruzione”. Un evento organizzato dal Movimento Agende Rosse di Catania (Gruppo F. Morvillo) in collaborazione con le associazioni di studenti universitari Orbis e Finestra, la Fondazione La città invisibile, Cultura&Progresso, Movimento Azione Civile Catania, e Antimafia Duemila. Ai tanti ragazzi presenti il magistrato palermitano si è rivolto con passione evidenziando lo “scopo fondamentale” di Cosa nostra, “sempre più interessata a condizionare e controllare la pubblica amministrazione e la politica per inserirsi nel sistema economico grazie anche al fatto che ad oggi non tutte le istituzioni nella componente politica, istituzionale, giudiziaria e amministrativa hanno reciso i rapporti con la mafia. E non si tratta di una semplice sottovalutazione di un fenomeno, ma di un’adesione culturale al metodo mafioso. Dobbiamo comprendere che Cosa nostra oggi è più attenta alla gestione del denaro pubblico, anche dei fondi europei, destinato alla pubblica amministrazione grazie all’ingresso della mafia nei salotti buoni grazie a professionisti, medici, imprenditori, politici e burocrati”. Un sistema criminale vero e proprio che “vede sullo stesso piano la famiglia mafiosa e l’imprenditore che agiscono insieme per condizionare il mercato per interessi comuni”. “La lotta alla mafia e alla corruzione - ha aggiunto Di Matteo - non sono aspetti distinti e separati o diversi come vogliono far credere, bensì sono due facce della stessa medaglia, della stessa condotta criminale. Per contrastarla servono norme utili che fino ad oggi non sono state emanate e non è un dato da poco che su 60mila detenuti solo poche decine sono in carcere per reati di corruzione contro la pubblica amministrazione. E non certo perché l’Italia sia immune alla corruzione, ma solo perché il sistema corruttivo rimane impunito grazie alla prescrizione del reato, che di fatto rappresenta la sconfitta dello Stato”. Concludendo il suo discorso il pm de la Trattativa Stato-mafia ha anche lanciato un appello ai ragazzi: “L’appello che rivolgo ai giovani è di non essere indifferenti alla mafia e alla sua penetrazione nel sistema economico, politico e amministrativo dello Stato perché è costata la vita a magistrati e ad uomini dello Stato. Non si deve voltare la faccia dall’altro lato perché la lotta alla mafia deve essere di tutti e per questo invito voi giovani ad informarvi, a ragionare, ad essere consapevoli e a lottare per la verità, per la legalità e per la giustizia perché solo così si può sconfiggere la mafia e la mentalità mafiosa e soprattutto garantire a voi ed alle prossime generazioni un futuro”.
Ospiti assieme a Di Matteo, moderati dal giornalista Luciano Mirone, Giacomo Pignataro e Giuseppe Barone, il Direttore di ANTIMAFIADuemila, Giorgio Bongiovanni, il Presidente delle Agende Rosse Salvatore Borsellino e l’ex pm oggi avvocato Antonio Ingroia, moderati dal giornalista Luciano Mirone; vuota invece, a sedia della Presidente del Consiglio comunale catanese Francesca Raciti.
Mirone prendendo spunto dai temi di giornata, partendo dall'assunto che l'Italia è tra i Paesi più corrotti del mondo, ha posto una serie di domande a cui si è cercato di dare risposta nei vari interventi. “La mafia - ha spiegato Giorgio Bongiovanni - non è solo quella che spara, ma è quella alla quale viene ordinato di sparare, grazie ad uno Stato che negli ultimi 150 anni non è mai riuscita a sconfiggerla e con la quale ha mantenuto rapporti. Le organizzazioni mafiose oggi fatturano 150 miliardi di euro, oltre a 80-90 miliardi di traffico di droga siamo tra i Paesi più corrotto del mondo, con miliardi di euro strappati ai nostri giovani e con magistrati abbandonati dalla politica. La situazione è così grave che ancora oggi non sappiamo chi sono i mandanti esterni delle stragi mafiose e coloro che indagano sulle stragi a livello di mandanti esterni e sulla famosa trattativa mafia Stato, viene condannato a morte”. E rivolgendosi ai ragazzi ha aggiunto: “Noi dobbiamo fare una scelta di campo e appoggiare i magistrati e farci sentire in tutti sensi, anche politicamente, sostenendo gente onesta che tra i punti in agenda ha la lotta a mafia e corruzione e altrimenti c’è utopia. Utopia che come diceva lo scrittore Galeano appare come l'orizzonte. Camminando non si può mai raggiungere ma intanto ci fa camminare. Ed è per questo che non dobbiamo interrompere questa lotta”.

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Il rapporto mafia-politica e la telefonata Mancino-Napolitano

Sul rapporto tra politica e magistratura si è soffermato particolarmente l’avvocato Antonio Ingroia, il quale ha posto l’accento sulle “trattative Stato-mafia che hanno permesso alla criminalità di sopravvivere e di mantenere quel sistema di potere politico-economico che vede i magistrati con la schiena dritta in difficoltà. Abbiamo bisogno di una diversa classe dirigente, di un diverso ceto politico e di una diversa cultura politica. Per questo è importante la presenza di un'opinione pubblica che pressi le istituzioni e che le cambi”. “Oggi – ha aggiunto l'ex magistrato – abbiamo un'idea più chiara di quello che è la mafia. E la abbiamo grazie al sacrificio di tanti uomini dello Stato e della società civile. Abbiamo scoperto che si tratta di un'organizzazione di potere che trae forza e potenza dalla relazione stabile con le istituzioni. E la mafia non esisterebbe se non vi fosse stati un certo modo di essere dello Stato, quello Stato che ha modellato il proprio essere secondo un principio e spirito di convivenza e che è poi quello che ha messo in piedi l'oscena trattativa. E questo lo dico senza entrare nel merito di un processo per cui una corte d'Assise valuterà responsabilità penali eventuali. Ma c'è anche un piano culturale e politico che conta”. “Noi – ha proseguito Ingroia – abbiamo bisogno di magistrati con la schiena dritta ma anche di un Csm che non si volti dall'altra parte nei confronti di questi magistrati. Di una politica che sostenga con le leggi il lavoro dei magistrati. Di avvocati che difendano i diritti dei senza diritto. Abbiamo bisogno di una società che si ispiri a modelli virtuosi e soprattutto di cittadini nuovi, ed intransigenti, che non accetti il compromesso”. Rispondendo poi ad una domanda di un ragazzo sul conflitto di attribuzione sollevato da Napolitano nei confronti della Procura di Palermo per la distruzione della telefonata tra Mancino, imputato al processo Trattativa, ed il Presidente della Repubblica ha dichiarato senza remore: “Quel conflitto di attribuzione è stato un caso chiaro di interferenza che la politica ha cercato di esercitare su questa indagine in nome di una ragione di Stato e credo che la conseguenza sia stata un fortissimo rallentamento sulla stessa indagine. Fino a quel momento vi erano state le dichiarazioni di Ciancimino e di pentiti. Vi erano politici che avevano recuperato la memoria. Poi, ad un certo punto, con quell'azione è stata messa una “pietra tombale”. Certo le indagini sono andate avanti. Ma il flusso di quel “torrente” di verità su certi fatti è stato notevolmente rallentato. Al di là di quello che dicono in molti non si può non rilevare l'assoluta correttezza della Procura di Palermo perché non è mai uscita una sola riga di quell'intercettazione che è stata poi distrutta. Nessuno parlerà mai del contenuto di quelle intercettazioni che posso assicurare non sono penalmente rilevanti. Tuttavia, se questo contenuto fosse stato rivelato, se fosse emerso qualcosa, non so quanto sarebbe durata la presidenza della Repubblica di Giorgio Napolitano”.

Il grido di verità di Salvatore Borsellino
Particolarmente toccante e commovente è stata la testimonianza di Salvatore Borsellino: “Io ho lasciato Palermo a 27 anni pensando così di aver risolto i miei problemi con la Sicilia, mentre Paolo è rimasto a lottare la mafia insieme con il suo vero fratello, Giovanni Falcone. Entrambi sono stati uccisi in autentiche stragi di Stato di cui ancora oggi non abbiamo giustizia e verità. Ora dobbiamo portare avanti questa lotta per chiedere questa verità ma anche per fare la nostra parte nel contrasto a questo fenomeno che è iniziato al Sud ma che ha invaso tutta la nostra Nazione. Io vivo al nord e mi rendo conto di certi atteggiamenti. Ho assistito a prefetti e sindaci che hanno detto che la mafia non esiste al Nord e a Milano e subito dopo ci sono stati gli arresti di oltre trecento affiliati di 'Ndrangheta. Alcuni di questi affiliati non prestavano mica giuramento a San Luca ma sempre in Lombardia in una struttura che era dedicata proprio alla memoria di Falcone e Borsellino”. Poi ha concluso, tra le agende rosse alzate al cielo e gli applausi di tutta la platea: “Noi dobbiamo portare avanti questa lotta per cercare verità e giustizia e per evitare che vi siano altre stragi. Non possiamo lasciare soli questi magistrati perché sappiamo che chi viene lasciato solo è come mettere un mirino su quella persona”.

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