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Nino Di Matteo entra a pieno titolo nel Pantheon degli italiani migliori, quei pochi - aggiungiamo noi - dei quali essere fieri, attorno ai quali stringersi, da tutelare, quali fossero cavalieri della legalità, in un Paese, l’Italia, in cui la legalità vive vita grama e di stenti, ora che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, gli ha fatto pervenire “la sua affettuosa vicinanza”, a seguito di ripetute minacce di morte, mafiosa e ‘ndranghetista, e per il tramite del vice presidente CSM, David Ermini.
Vicinanza autorevole, di massimo livello, resa pubblica nell’odierna seduta plenaria del CSM. E che chiude il cerchio, dopo la presa di posizione dell’associazione nazionale magistrati e delle settanta rondini (altrettanti magistrati) che finalmente hanno fatto primavera, come scrivemmo qui.
Nino Di Matteo, dunque, finalmente esiste.
Era ora, verrebbe da dire.
Di conseguenza, da oggi, non sarà più il consueto fantasma mediatico che si aggira nelle stanze e nei retrobottega del potere, provocando levate di spalle, occhiatacce stizzite, fastidi corporativi, risentimenti, piccole ripicche, astio e ingiustificabile invidia di altri colleghi, agguati, trappole imboscate di una certa politica che lo ha sempre detestato, e farà di tutto per continuare a detestarlo.
Certo. Lo sappiamo. Questo comune sentire non scomparirà dall’oggi all’indomani.
Come diceva il buon Andrea Camilleri, chi nasce tondo non può morire quadrato.


il patto sporco 820 546

E vale, il detto, per i detrattori di Nino Di Matteo, che non potranno, all’improvviso, farsi quadrati, facendo pubblica ammenda per le loro crociate, capitanate contro un magistrato che da trent’anni vive una vita blindata, fa il suo dovere, umano e professionale, non piegandosi a sirene e lusinghe di un certo potere.
Ma vale, il detto, anche per Di Matteo, che se non si è impressionato sin qui, dopo tutto quello che gli è toccato subire e attraversare, ha da oggi molti motivi in meno per impressionarsi, ora che dal Colle è finalmente venuto un segnale di riconoscimento forte e chiaro rispetto al suo ruolo e alla sua posizione. E se lo meritava sino in fondo.
Vorremmo allora concludere cavandocela con il vecchio adagio: tutto bene quel che finisce bene.
Vorremmo allora concludere con quell’altro vecchio adagio che recita: il tempo è galantuomo.
Ma poiché da tempo non crediamo più alla Befana, sappiamo che altri giorni duri verranno; giorni ai quali Nino Di Matteo, e tutti i magistrati come lui, saranno chiamati, come si dice in questi giorni di inebrianti partite di calcio, a saper soffrire, per portare a casa il risultato. Il risultato, ben inteso, della legalità, della verità, della giustizia.
Ora, però, in tanti non avranno più alibi.
Un capo dello Stato è un Capo dello Stato. E la sua parola conta.
E le parole di Sergio Mattarella, nell’intera vicenda, appaiono tanto concise quanto nitide, così non prestando il fianco a interpretazioni di comodo. E poco importa se alcuni giornali e alcune tv si taglieranno la lingua pur di non riferirle, divulgarle, inciderle per sempre nei loro archivi.

Foto originali © Imagoeconomica

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La rubrica di Saverio Lodato

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