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I magistrati pressano il governo: “Servirà un proficuo lavoro del ministero degli Esteri che dovrà suscitare la collaborazione delle autorità del Cairo

Il percorso per il raggiungimento della verità e della giustizia sull’omicidio di Giulio Regeni è lunga e difficile, e per poterla percorrere necessita degli sforzi del governo italiano. E’ questo ciò che emerge dalle ricostruzioni e dalle parole dei pm capitolini durante l’ultima udienza contro gli 007 egiziani accusati della morte del giovane italiano tenutasi lunedì. Le indagini sono terminate nonostante i depistaggi delle autorità del Cairo e il processo è iniziato solo grazie agli sforzi dei pm, dei legali di parte civile e della Corte Costituzionale che ha rimosso gli ostacoli che impedivano di giudicare i torturatori egiziani del ricercatore friulano. Ma adesso per poter ascoltare 27 testimoni egiziani in aula serve uno sforzo chiaro dell’esecutivo. “Servirà un proficuo lavoro del ministero degli Affari esteri che dovrà suscitare la collaborazione delle autorità” del Cairo. Lo ha detto chiaramente il procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, spiegando ai giudici della Prima Corte d’Assise di Roma “solo la polizia egiziana può notificare gli atti ai testimoni residenti in quel Paese e può autorizzarne l’arrivo qui in Italia”.
La strada è in salita. Perché a essere processati sono Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abedal Sharif, quattro agenti della National Security egiziana. Erano convinti che Regeni fosse una spia inglese mandata per finanziare i sindacati indipendenti dal governo di Al Sisi. Per questo “apparati e servizi di sicurezza stringeranno attorno a lui una ragnatela che trasformerà amici, sindacalisti, rivenditori ambulanti, in informatori dei servizi di sicurezza”. È stato pedinato, fotografato, perquisito. Poi sequestrato, in piazza Tahir, il 25 gennaio 2016, lo stesso giorno del quinto anniversario delle proteste contro l’ex presidente Hosni Mubarak. Poi venne portato “in un centro egiziano di detenzione e tortura… in condizioni di per sé inumane, privato del diritto di difesa e di accesso al giudice nonché di contatti di qualsiasi natura”, ha affermato la corte. E infine è stato ucciso. Il suo corpo è stato fatto trovare ai lati della strada che porta ad Alessandria nove giorni dopo.
I pm hanno ricostruito ogni cosa nonostante solo 25 delle 64 richieste di rogatoria sono state accolte dalla magistratura egiziana. Anzi in Egitto “fin dall’inizio delle indagini sono stati posti in essere, da molteplici soggetti anche appartenenti alla National Secutity, numerosi tentativi di sviamento dell’indagine”.
Prima hanno cercato di far passare la morte del ricercatore come un incidente stradale. L’autopsia però ha detto altro. Poi hanno inventato un movente sessuale, ma “la irreprensibilità e la trasparenza delle condotte di Giulio Regeni hanno permesso di far decadere immediatamente questi primi tentativi di depistaggio”. Quindi hanno provato a inscenare una lite avvenuta nei pressi del consolato italiano, ma il testimone principale ha poi ammesso “di aver ricevuto istruzioni di dire il falso al fine di tutelare l’immagine dell’Egitto”.
Ancora, all’improvviso, i documenti di Regeni sono stati fatti trovare nel covo di alcuni criminali uccisi durante un conflitto a fuoco, sui quali si voleva fare ricadere la colpa dell’omicidio Regeni. I tabulati telefonici hanno smentito anche questa sceneggiatura.
Del resto i pm di Roma hanno in mano dieci “elementi significativi”. Tra questi, le immagini della metropolitana di Dokki, dove è stato sequestrato. Ma mancano i dieci minuti in cui è stato prelevato. Quelli sono scomparsi. Ancora: le dichiarazioni del sindacalista Said Mohamed Abdallah, che ha tradito Regeni registrando un video per conto di un imputato. E le chat del ragazzo con gli amici, le sue preoccupazioni, le gioie. Il risultato di indagini che l’Egitto aveva “il diritto e il dovere” di svolgere, “ma è apparso sin da subito evidente che, se la procura di Roma non avesse assunto un ruolo di impulso e supplenza, sarebbe stato impossibile arrivare a ricostruire” i fatti.
I giudici parlano di un sequestro ispirato da "finalità essenziali della tortura pubblica di tipo punitivo e/o intimidatorio". Una "brutale e gratuita violenza fisica e di inflizione di sofferenze corporali personali che non possono che avere prodotto, per la loro imponenza, gravissimo dolore e tormento in senso stretto, in un crescendo che ha originato l'evento morte, anche a voler trascurare il dato del patimento psicologico". Al termine dell'udienza è stato comunicato il calendario delle prossime udienze, e il pm Colaiocco ha preannunciato che il 9 aprile verranno ascoltati i testimoni, tra cui il padre di Giulio, Claudio Regeni, per ricostruire quella che era la vita del ricercatore friulano. Il 16 aprile toccherà invece all'ambasciatore italiano al Cairo; mentre il 24 aprile saranno sentiti i medici legali.

Foto © Asiaecica

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