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Il legale evidenzia le pericolosità della norma voluta dalla maggioranza: “Così neanche l’indagato saprà chi dice cosa”

La verità è laica. Può essere sfavorevole all’indagato, ma può anche giocare a suo vantaggio. Più elementi di conoscibilità dei fatti sono disponibili e meglio è per tutti. Mi pare, però, che qui l’intento sia opposto: difendersi dalla verità”. A dirlo è Fabio Repici, avvocato di molte famiglie con membri uccisi per mano mafiosa, commentando a Il Fatto Quotidiano l’emendamento al Ddl Nordio approvato in commissione giustizia al Senato - e presentato in commissione dal capogruppo di Forza Italia Pierantonio Zanettin - che vieta la citazione di “dati che consentono di identificare soggetti diversi dalle parti” nei verbali delle intercettazioni.

L’emendamento Zanettin interviene sull’articolo 268 del codice di procedura penale (sulla trascrizione dei nastri da parte della polizia giudiziaria) prevedendo che in ogni caso devono essere “esclusi i nominativi di persone estranee alle indagini, alle quali è garantito l’anonimato”.

Tra le norme al voto in Commissione giustizia al senato vi è stato anche il divieto per i pm di riportare nelle richieste di misure cautelari “i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione”.

Sul punto, prosegue Repici nel ragionamento, riguardo alla verità “di volta in volta, a ogni passaggio, se ne toglie un pezzetto. Come se l’unica difesa fosse quella di nascondere i fatti. Mettiamola così: il Processo di Kafka sta diventando realtà. Con queste norme neanche l’indagato saprà chi dice cosa”.

Quindi il legale ha evidenziato le criticità della norma. “Partiamo dall’inizio: innanzitutto c’è una questione di linguaggio, di uso corretto della lingua italiana. Prendiamo questa dicitura della norma: ‘Sono, in ogni caso, esclusi i nominativi di persone estranee alle indagini alle quali è garantito l’anonimato’. Se sono ‘esclusi i nominativi’, mi pare chiaro che restino anonimi, quindi è una frase ridondante. A meno che l’obiettivo non sia un altro”. Ovvero “estendere ulteriormente questa garanzia. Ma non si capisce nei confronti di chi. Andiamo avanti: quali sono le ‘persone estranee alle indagini’? A quale categoria fanno riferimento?”, si chiede Repici. “Ma soprattutto: la garanzia dell’anonimato, nel nostro ordinamento giudiziario, dove la individuiamo? Siamo dinanzi a un disastro”. Alla domanda se il Paese è davanti a un danno sia per l’accusa che per la difesa il legale ha risposto: “Certo. Vale sia per l’accusa sia per la difesa”. “Dobbiamo sempre ricordare - ha continuato - che l’intercettazione è un mezzo di ricerca della prova. E che la gente può mentire. Quindi anche le conversazioni intercettate possono contenere delle menzogne o delle verità. Facciamo un esempio. Tizio, indagato per rapina, intercettato fa il nome di un complice, che in quel momento è estraneo alle indagini. Che si fa? Non essendo ‘parte’, secondo la dicitura della norma, non dovrebbe essere citato neanche nei brogliacci. A quel punto l’investigatore - immagino - dovrà stilare una relazione di servizio. E qual è la differenza? Il punto, però, è che l’arbitrio dell’accusa nel censurare una parte d’indagine o valorizzarla diventa dominante. E non è un bene”. Ancora. “Ipotizziamo che Tizio citi Caio come complice di un presunto assassino. Io da avvocato verifico che Caio, in quel momento, era però morto da tempo. Un’intercettazione simile non solo sarebbe inattendibile, ma potrebbe portare a scagionare un innocente. Il punto è che con queste norme, poiché Caio non viene citato, io, da avvocato, come posso verificare se all’epoca dei fatti era vivo o morto? Per questo le ripeto: il Processo da finzione letteraria potrà tragicamente diventare realtà”.

Nel corso del suo ragionamento sul tentativo di demolizione dei principali strumenti antimafia da parte del governo l’avvocato ha affermato che queste scelte politiche, come la rivisitazione dell’uso delle intercettazioni, avrebbe inficiato, di molto, le indagini sul caso delitto del procuratore Bruno Caccia (Repici è legale della famiglia) e su quanto emerso finora. A detta di Fabio Repici con le nuove norme volute dalla maggioranza di governo, sarebbe stato impossibile ottenere lo stesso risultato nel caso dell’omicidio del magistrato.

Cattafi e Caccia, citati nell’intercettazione, erano estranei alle indagini. Con questa norma, quindi, non sarebbero stati riportati negli atti”, ha spiegato. “E se non avessimo potuto leggere i loro nomi, nulla di quanto accaduto dopo sarebbe stato possibile. Se queste norme fossero state vigenti non avremmo mai avuto un nuovo processo per l’omicidio Caccia, conclusosi con la condanna definitiva di Schirripa. Ma il caso Caccia è solo un esempio. Se ne potrebbero fare tantissimi altri. La storia giudiziaria italiana è piena di episodi del genere in qualsiasi tipo di crimine, a partire da mafia e terrorismo”.

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